venerdì 1 febbraio 2019

Potenza e gloria: II: Francia, Germania e Austria. Tardo Seicento e primo Settecento

Potenza e gloria: II
Francia, Germania e Austria
Tardo Seicento e primo Settecento

Re e principi dell'Europa secentesca erano altrettanto avidi di ostentare la loro potenza per rafforzare il loro prestigio morale sul popolo. Anch'essi volevano apparire esseri di una diversa specie, che il diritto divino innalza al disopra degli uomini comuni. Luigi XIV di Francia, nel cui programma politico rientrava deliberatamente l'ostentazione e lo splendore della regalità. Luigi XIV invitò a Parigi per coadiuvare al progetto del suo palazzo. Un'altra reggia di Luigi XIV divenne il simbolo stesso del suo immenso potere. E fu il castello di Versailles, costruito attorno al 1660-1680. 


Louis le Vau e Jules Hardouin-Mansart. Il palazzo di Versailles, presso Parigi. 1655-1682


I giardini di Versailles


E' tanto vasto che nessuna fotografia può dare un'idea adeguata delle sue proporzioni e della sua disposizione. A ogni piano ci sono non meno di centoventitré finestre che danno sul parco, e il parco stesso, con i suoi viali di alberi cedui, con le sue urne e le sue statue. 
Versailles è barocca più per la sua immensità che per i particolari decorativi. Gli architetti badarono a raggruppare le enormi masse architettoniche in ali chiaramente distinte, conferendo a ciascuna un aspetto di nobiltà e di grandezza. Accentuarono la parte centrale del piano principale con una fila di colonne ioniche reggenti un cornicione ornato da una fila di statue, e lateralmente posero decirazioni consimili.In edifici di questo genere possiamo apprezzare la vera funzione e il vero scopo delle forme barocche. Se i progettisti di Versailles fossero stati più arditi, usando mezzi meno ortodossi per articolare e fondere le varie parti dell'enorme cotruzione, avrebbero ottenuto un successo ancora maggiore. 
La fantasia dell'epoca fu accesa dalle chies di Roma e dai castelli barocchi francesi. Ogni principato della Germania meridionale voleva la sua Versailles; ogni piccolo monastero d'Austria o di Spagna voleva competere con lo splendore solenne di progetti berniniani e borrominiani. Il periodo attorno al 1700 è uno dei più grandi periodi dell'architettura, e non solo dell'architettura. Tutte le arti dovevano contribuire al'illusione di un mondo fantastico è irreale. Intere città vennero trattate come scenari teatrali, distese di campagna furono trasformate in giardini, ruscelli in cascate. Gli artisti furono liberi di abbandonarsi alla loro fantasia e di tradurre le visioni più inverosimili in pietra e stucco dorato. Il denaro si esauriva prima che i piani si trasformassero in realtà, ma quello che di questo empito di creatività stravagante riuscì a realizzarsi traformò l'aspetto di molte città e paesaggi dell'Europa cattolica. In Austria, in Boemia e nella Germania meridionale le concezioni del barocco francese e italiano vennero rifuse in uno stile più ardito e solido. 


Lucas von Hildebrandt. Il palazzo del Belvedere a Vienna. 1720-1724

La figura mostra il palazzo costruito a Vienna dell'architetto austriaco Lucas von Hildebrandt (1668-1745) per l'alleato del duca di Marlborough, il principe Eugenio di Savoia. Il palazzo si erge su un colle, e sembra quasi leggero su un giardino e terrazze con fontane e siepi tosate. Hildebrandt l'ha scompartito in sette corpi distinti, un pò simili a padiglioni da giardino; una parte centrale a cinque finestre sporge in avanti, affiancata da due ali leggermente meno alte, affiancate a loro volta da una parte più bassa e da quattro padoglioni angolari a forma di torre che incorniciano l'intero edificio. Il padiglione centrale e le torri d'angolo sono le pareti più riccamente decorate, e la costruzione forma sì un insieme intricato ma dalla linea perfettamente lucida e netta. Questa lucidità non è affatto alterata dalle decorazioni capricciose e bizzarre che Hildebrandt impiegò nei particolari: i pilastri che si restringono verso il basso, i frontoni rotti e svolazzanti sopra le finestre, e le statue e i trofei che ornano il tetto. 


Lucas von Hildebrandt. L'atrio del palazzo del Belvedere a Vienna. 1724


Lucas von Hildebrandt e Johann Dientzenhofer. Salone del castello di Pommersfelden in Germania. 1713-1714


Al solo entrare nell'edificio, questo fantasioso stile decorativo ci fa sentire il suo effetto. La figura ci mostra il palazzo d'ingresso disegnato da Hildebrandt appunto per il palazzo del principe Eugenio e lo scalone di un castello tedesco. Il giorno in cui il proprietario dava una festa o un ricevimento, e sotto i lampadari accesi, cavalieri e dame vestiti nalla moda festosa e solenne del tempo arrivavano e salivano lo scalone. Il conrasto fra le strade buie di allora, sporche e squallide e il radioso mondo fatato della dimora principesca doveva in quel momento presentarsi in tutta la sua asprezza. 


Jakob Prandtauer. Il monastero di Melk. 1702

La figura mostra il monastero austriaco di Melk, sul Danubio. Scendendo il fiume, il monastero, con la sua cupola e le torri dalle fogge bizzarre, si erge sul colle come un'apparizione irreale. Fu costruito da un architetto locale, Jakob Prandtauer (morto nel 1726), e decorato da "virtuosi" italiani itineranti, che disponevano di idee e di disegni sempre nuovi. Come avevano bene appreso, questi umili artisti, l'arte difficile di raggruppare e organizzare una costruzione per darle una solennità scevra di monotonia! Badavano a graduare la decorazione, usando parcamente le bizzare forme ornamentali nelle paret dell'edifcio che dovevano particolarmente risaltare. 


Jakob Prandtauer, Antonio Beduzzi e Josef Munggennast. Interno della chiesa del monastero di Melk. 1758

Ancora una volta dobbiamo immaginare che cosa significasse per il contadino austriaco lasciare la fattoria ed entrare in questo modno strano e fatato. Dappertutto nuvole con angeli musicanti che esaltano con ampi gesti la beatitudine del paradiso. Qualcuno si è posato sul pulpito, tutto sembra ondeggiare in una danza, e l'architettura che incornicia il sontuoso altare pare oscillare un ritmo gaudioso. Nulla è "naturale"  o "normale" in una chiesa come questa, né vuole esserlo. Tutto mira a far pregustare il paradiso e la sua gloria, in quell'ambiente tutti si sentono avvolti e trascianti, incapaci di polemiche, presi in un mondo in cui regole e criteri umani non valgono più. 
Si comprende come al nord delle Alpi, le arti siano state coinvolte in questa follia decorativa, perdendo assai della loro indipendenza. Intorno al 1700 c'erano, pittori e scultori di rilievo, ma forse vi fu un solo maestro la cui arte può stare alla pari con quella dei pittori della prima metà del Seicento: Antoine Watteau (1684-1721). Era oriundo  di una regione delle Fiandre che era stata conquistata dalla Francia pochi anni prima che egli nascesse, poi si stabilì a Parigi, dove morì all'età di trentasette anni. Anch'egli decorò i castelli dell'aristocrazia. Ma pare che le feste non riuscissero a soddisfare la sua fantasia e allora cominciò a dipingere visioni lontane da ogni amarezza e banalità quotidiana, un sognante mondo di gaie merende all'aperto in parchi fatati in cui non piove mai, trattenimenti musicali in cui tutte le dame sono belle e tutti gli amanti leggiadri, una società in cui tutti vestono sete brillanti senza mai caadere nel vistoso, e dove la vita dei pastori e delle pastorelle sembra un susseguirsi di minuetti. Per molti essa riflette il gusto dell'aristocrazia francese del primo Settecento, cui si suole dare il nome di rococò; la moda dei colori delicati e delle decorazioni raffinate, succeduta al gusto più vigoroso del periodo barocco e che si esprimeva in un'allegra frivolezza. Ma Watteau era un artista troppo grande per ridursi a puro esponente della moda dell'epoca. Furono piuttosto i suoi sogni e i suoi ideali a plasmare in parte la moda che chiamiamo rococò. Se Van Dyck aveva contribuito a creare l'ideale di albagìa signorile che siamo soliti attribuiire ai seguaci di Carlo I, Watteau ha arricchito il nostro repertorio fantastico con le sue visioni di aggraziata galanteria. 
Non c'è traccia, della rumorosa allegria delle feste popolari Jan Steen, vi aleggia una calma dolce e quasi malinconica. Giovani e fanciulle non fanno che stare seduti a sognare, a giocherellare con fiori e guardarsi l'un l'altro. La luce si muove sui loro vestiti di seta e trasfigura il boschetto in un paradiso terrestre. Watteau sapeva comunicare l'impressione della carne vivida e palpitante con un solo tratto di colore o di biacca. In queste vsioni di bellezza c'è una punta di malinnconia difficile da descrivere o da definire, ma che solleva l'arte di Watteau oltre la sfera della pura abilità e della grazia. Watteau era malato e morì di tisi in giovane età. Forse perché era consapevole dela fugacità della bellezza, poté dare alla sua arte quell'intensità che i suoi molti ammiratori e imitatori non riuscirono mai a raggiungere.

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