lunedì 8 gennaio 2018

La Conquista della realtà. Il primo Quattrocento

La Conquista della realtà
Il primo Quattrocento

Rinascimento significa rinascita, e l'idea di questa rinascita aveva cominciato a diffondersi in Italia fin dal tempo di Giotto. Giotto era stato esaltato pere aver fatto rinascere l'arte: con questa espressione si intendeva che la sua arte poteva stare alla pari con quella dei famosi maestri elogiati dagli scrittori greci e romani. Gli italiani sapevano che nell'antichità la loro terra, era stata il centro del mondo civile, e che la sua potenza e la sua gloria erano finite il giorno in cui, le tribù germaniche, i goti e i vandali, avevano invaso il Paese e spezzato l'unità dell'impero romano. Il periodo fra l'età classica, cui gurdavano con orgoglio, e la nuova epoca di rinascita, in cui speravano, era soltanto un triste lasso di tempo "l'età di mezzo". Da questo concetto di rinascita o rinascimento, derivò l'altro, di un periodo intermedio, di un medioevo: termini tuttora in uso. Gli italiani accusavano i goti della caduta dell'impero romano: l'arte di quel periodo intermedio fu per loro gotica, ossia barbarica, così come tuttora parliamo di vandalismo quando alludiamo a una inutile distruzione di cose belle. 
La rinascita dell'arte, dopo i tumulti e i rivlgimenti dell'alto medioevo, si produsse gradualmente, e proprio nel periodo gotico, essa ebbe i suoi inizi. Le nuove conquiste di Giotto apparvero un'innovazione formidabile, una rinascita di tutto quanto era nobile e grande nell'arte. Gli italiani del Trecento ritenevano che arte, scienza e cultura fiorite nel periodo classico fossero state distrutte dai barbari del Nord e che ora fosse loro compito far rivivere il glorioso passato. 
A Firenze nelle prime decadi del Quattrocento un gruppo di artisti volle creare un'arte nuova rompendo con le teorie del passato. L'emnente guida era un architetto che lavorava al completamento del duomo, Filippo Brunelleschi (1377-1446). Il duomo era gotico, e Brunelleschi conosceva perfettamente le innovazioni tecniche della tradizione gotica. La sua fama, poggia in gran parte su alcune scoperte da lui fatte nell'ambito della costruzione e della progettistica e che presupponevano la conoscenza dei metodi gotici di campare le volte. I fiorentini desideravano il loro duomo coronato da una cupola possente ma nessun artista sarebbe mai stato in grado di coprire l'immensa distanza fra i pilastri sui quali la cupola avrebbe dovuto poggiare se Filippo Brunelleschi non avesse trovato il sistema adatto. 


Filippo Brunelleschi. La cupola del Duomo di Firenze. 1420-1436

Egli ruppe completamente con lo stile tradizionale, abbracciando le idee di quanti aspiravano a una rinascita della grandezza romana. Non fu però mai sua intenzione copiare pedissequamente questi antichi edifici. Mirava piuttosto alla creazione di una nuova maniera architettonica nella quale le forme classiche, liberamente usate, contribuissero a creare nuove espressioni di armonia e bellezza. 
Per quasi cinquecento anni gli architetti d'Europa e d'America hanno seguito le sue orme. Solo nel Novecento alcuni architetti hanno cominciato a discutere i metodi di Bruneleschi, ribellandosi alla tradizione architettonica rinascimentale proprio come egli si era ribellato alla tradizione gotica. 



Filippo Brunelleschi. Cappela Pazzi a Firenze. 1430




Facciata di una cappella che Brunelleschi costrì per la potente famiglia dei Pazzi. Brunelleschi combinò colonne, pilastri e archi secondo il suo stile personale, raggiungendo un effetto di leggerezza e grazia diverso da qualsiiasi esempio precedente. Certi particolari come la cornice della porta, con il suo fronte classico, mostrano con quanta cura Brunelleschi avesse studiato le antiche rovine e costruzioni come il Pantheon. Si vede ancora più chiaramente quanto egli abbia studiato i modelli romani entrando all'interno, in cui non c'è nulla che possa rievocare i tratti tanto cari agli architetti gotici: non alte finestre né snelli pilastri, ma il muro bianco e cieco ripartito da pilastri grigi che, pur non essendo funzionali, richhiamano l'idea di un "ordine" classico. L'architetto ce li mise solo per dare rilievo alla linea e alle proporzioni dell'interno. 
A Brunelleschi è dovuta un'altra importante scoperta nel campo dell'arte, destinata a dominare nei secoli seguenti: la prospettiva. I greci e i maestri ellenistici abili nel creare l'illusione della profondità, non conoscevano le leggi matematiche secondo le quali gli oggetti diminuiscono di grandezza a mano a mano che si allontanano dallo spettatore. Fu Brunelleschi a dare agli artisti i mezzi matematici per risolvere tale problema. 


Masaccio. La Santissima Trinità con la Vergine, san Giovanni e i donatori. 1425-1428

La figura mostra una delle prime pitture eseguite con l'aiuto di norme matematiche. E' la pittura murale di una chiesa fiorentina e rappresenta la Santissima Trinità con la Vergine e san Giovanni ai piedi della Croce e i donatori - un anziano mercante e sua moglie - inginocchiati all'esterno. L'autore era soprannominato Masaccio (1401-1428), un peggiorativo di Tommaso. Era riuscito a rivoluzionare interamente la pittura. Una rivoluzione che non consisteva solo nell'accorgimento tecnico della prospettiva. Non grazia delicata, ma figure massicce e pesanti; non curve libere e fluenti, ma forme angolose e solide; e non graziosi particolari come fiori e pietre preziose, ma una rigida tomba con dentro il cadavere. Pur non imitandolo Masaccio ammirava la grandezza drammatica di Giotto. Il semplice gesto con cui la Vergine addita il figlio crocifisso è così eloquente e toccante perché è l'unico movimento che animi la pittura, composta più di statue che di figure. E, incorniciandole prospetticamente è proprio quest'effetto di statuaria solennità che Masaccio ha voluto sottolineare. Potremmo quasi toccarle, e questa sensazione ce le fa più vicine e intelligibili. Per i grandi maestri del Rinascimento, i nuovi accorgimenti e le nuove scoperte artistiche non erano mai fini a sé stessi. Se ne valevano solo per imprimere sempre più nelle menti il significato dei loro temi. 
Il più importante scultore della cerchia di Brunelleschi fu il maestro fiorentino Donatello (1386-1466). 



Donatello. San Giorgio. 1415-1416



Mostra una sua opera giovanile, ordinatagli dalla corporazione degli armaioli: san giorgio, loro patrono, destinata alla nicchia esterna di una chiesa fiorentina (Orsammichele). Il san Giorgio di Donatello poggia solidamente sulla terra, i suoi piedi sono piantati in modo risoluto al suolo, come se egli fosse ben deciso a non indietreggiare d'un solo palmo. Il volto è energico e intento. Sembra scrutare l'avvicinarsi del nemico e misurarne la grandezza, le mani appoggiate allo scudo, tutto teso in atteggiamento di sfida. Ad accendere la nostra ammirazione è l'intero suo atteggiamento verso la scultura, indice di una concezione completamente nuova. Benché la statua sia ricca di vita e di movimento, essa rimane pur sempre chiaramente delineata e solida come una roccia. Come le pitture di Masaccio, essa indica la volontà di Donatello di sostituire alla squisita raffinatezza dei suoi predecessori una nuova e vigorosa osservazione della natura. Alcuni particolari, come le mani o la fronte del santo, mostrano na netta indipendenza dai modelli tradizionali, frutto di un'autonoma e nuova osservazione delle vere fattezze umane. I maestri fiorentini del primo Quattrocento, cominciarono a osservare attentamente negli studi e nelle botteghe il corpo umano, chiedendo a modelli o a compagni d'arte di posare per loro negli atteggiamenti desiderati. E' questo nuovo metodo, è questo nuovo interesse che conferisce all'opera di Donatello tanta forza di persuasione. 
Come Giotto un secolo prima, egli fu spesso chiamato in altre città italiane per renderle più belle e più famose. 



Donatello. Il festino di Erode. 1423-1427


Un rilievo in bronzo eseguito da lui per il fonte battesimale di Siena circa dieci anni dopo il san Giorgio, nel 1427. Esso illustra un episodio della vita di san Giovanni Battista; la macabra scena in cui Salomè, come compenso della sua danza, ottine dal re Erode la testa del santo. Vediamo la sala regale del banchetto e, dietro, la tribuna dei musicanti e una fuga di stanze e scale. Il carnefice, si è inginocchiato dinanzi al re cui offre sopra un piatto la testa del santo. Il re si ritrae levando le mani inorridito, i bimbi piangono e fuggono, la madre di Salomè, istigatrice del delitto, sta parlando al re per spiegargli l'accaduto. Gli ospiti le fanno un grande vuoto d'intorno. Uno di essi si copre gli occhi con una mano, altri circondano Salomè che sembra avere appena interrotto la sua danza. In quest'opera di Donatello tutto è nuovo. Come le figure di Masaccio, quelle di Donatello sono dure e angolose nei loro movimenti. I gesti sono violenti, e non v'è alcun tentativo di mitigare l'orrore della storia. 
La nuova arte della prospettiva accresceva ancor più l'illusione della realtà. Donatello, fece del suo meglio per rappresentare un palazzo classico quale poteva essere quello in cui si svolgeva l'avvenimento scegliendo per figure di sfondo tipi romani. A quel tempo Donatello, aveva intrapreso uno studio sistematico dei ruderi romani per valersene nella sua azione volta a una rinascita artistica. Gli artisti attorno a Brunelleschi desidervano con tanto ardore un rinnovamento artistico che per realizzare i loro nuovi fini si volsero alla natura, alla scienza ai ruderi dell'antichità. 
Il dominio della scienza e la familiarità con l'arte classica rimasero per qualche tempo prerogativa esclusiva degli artisti italiani. Ma la volontà appassionata di creare un'arte nuova, ispirò pure gli artisti nordici di quella generazione. 


Claus Sluter. I profeti Daniele e Isaia. 1396-1404

Come la generazione di Donatello a Firenze, uno scultore d'oltralpe lottava per un'arte realistica e più stretta di quanto noon fossero le opere delicate dei suoi predecessori. Questi fu Claus Sluter, che lavorò dal 1380 al 1405, circa a Digione, a quel tempo capitale del ricco e prosperoso ducato di Borgogna. La sua opera più famosa è un gruppo di profeti (un tempo basamento di un grande crocifisso che in un famoso luogo di pellegrinaggio sormontava una fontana), cioè degli uomini le cui parole furono interpretate come profezia della Passione. Reggono in mano un gran rotolo di pergamena, in cui sonoscritte le parole profetiche, e sembrano meditare sull'evento drammatico incombente. L'uomo coon il turbante è Daniele, mentre il vecchio profeta a testa nuda è Isaia. Dinanzi a noi, più grandi del vero, variopinte e splendidamente dorate, non sembrano tanto statue quanto solenni personaggi di sacre rappresentazioni medievali sul punto di recitare la loro parte. 
L'artista le cui scoperte rivoluzionarie rappresentano subito un elemento innovatore fu il pittore Jan van Eyck (1390-1441). Egli era legato alla corte dei duchi di Borgogna, ma lavorò soprattutto in quella parte dei Paesi Bassi che era il Belgio. La sua opera principale è il grande polittico che si trova a Gand. 




Jan van Eyck. Polittico di Gand. 1432

Cominciato dal fratello maggiore di Jan, Hubert, e terminato da Jan nel 1432, in quello stesso decennio che vide il completamento delle grandi opere di Masaccio e Donatello. 
Ci sono molte affinità tra l'affresco di Masaccio a Firenze, e questa pala d'altare dipinta per una ciesa nelle lontane Fiandre. Ambedue mostrano il pio donatore e sua moglie in preghiera ai lati, tutti e due si concentrano su una grande immagine simbolica che nell'affresco è la Santa trinità e sull'altare è la mistica visione dell'Adoraziione dell'Agnello, che naturalmente simboleggia Cristo. La composizione si basa soprattutto sull'Apocalisse di san Giovanni: "un'immensa folla, che nessuno poteva contare, di ogni stirpe, tribù, popolo e lingua; essi stavano in piedi davanti al trono e davanti all'agnello". In alto vediamo Dio Padre, maestoso come in Masaccio, ma splendidamente insediato sul trono come un papa, tra la Santa Vergine e san Giovanni Battista che per primo Gesù l'"Agnello di Dio". 
L'altare con le sue varie immagini si può mostrare aperto, come accadeva nei giorni festivi quando tutti i suoi splendidi colori venivano rivelati, oppure chiuso come nei giorni feriali quando si presentava in un aspetto più sobrio. Qui l'artista ha rappresentato san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista come statue, come Giotto aveva rappresentato le figure delle Virtù e dei Vizi nella Cappella degli Scrovegni. In alti ci appare la scena familiare dell'Annunciazione. 
La sua più familiare dimostrazione del nuovo concetto di arte la riservò tutta alle ali interne: le fugure di Adamo ed Eva dopo il peccato. Nudi davvero appaiono, nonostante le foglie di fico che tangono in mano. Qui non c'è realmente un parallelismo con i maestri del primo Riascimento in Italia, i quali non abbandonarono mai del tutto le tradizioni dell'arte greca e romana. Jan van Eyck deve essersi messo di fronte dei modelli nudi e averli dipinti così fedelmente che le generazioni successive furono scandalizzate da tanta franchezza. Si osservi, la differenza la pazienza e la maestria con cui egli ha dipinto la lucentezza dei preziosi broccati indossati dagli angeli musicanti, e ovunque il brillio dei gioielli. Van Eyck non ruppe troppo radicalmente con le tradizioni del gotico internazionale come aveva fatto Masaccio. Seguì i metodi di artisti quali i fratelli De Limblurg, portandoli a un tale livello di perfezione da lasciarsi alle spalle i principi dell'arte medievale. I fratelli De Limbourg, si erano compiaciuti di riempire i loro lavori di figure piacevoli e di delicati particolari tratti dall'osservazione della realtà. Amavano mostrare la loro abilità nel dipingere fiori e animali, edifici, costumi sontuosi e gioielli, offrendo una vera festa all'occhio. Essi non si davano troppo pensiero della proporzione delle figure e dei paesaggi, e che quindi il loro disegno e la loro prospettiva non erano molto convincenti. L'osservazione dal vero di Van Eyck è ancora più paziente, la sua conoscenza dei particolari è ancora più esatta, gli alberi e l'edificio nello sfondo stanno a dimostrarlo. Nel dettaglio del riquadro di Van Eyck, alberi reali e paesaggio reale portano alla città e al castello che si staglianio sull'orizzonte. L'erba sulle rocce e i fiori nati nei crepacci (dipinti con pazienza infinita) non possono venir paragonati al sottobosco ornamentale della miniatura dei De Limbourg. Ciò che vale per il paesaggio vale anche per le figure. Tanta fu l'attenzione di Van Eyck nel riprodurre ogni minuto particolare che ci pare quasi di poter contare i peli delle criniere dei cavalli o delle guarnizioni di pelliccia sui costumi dei cavalieri. Il cavallo di Van Eyck, è vivo. Vediamo lo splendore dell'occhio, le pieghe della pelle; ha membra tonde modellate dal chiaroscuro. 
Gli artisti meridionali suoi contemporanei, i maestri fiorentini della cerchia del Brunelleschi, avevano perfezionato un metodo grazie al quale la natura poteva venir rappresentata in un quadro con un'esattezza quasi scientifica. Cominciavano con l'intelaiatura di linee prospettiche, e costruivano il corpo umano basandosi sull'anatomia e sulle leggi della prospettiva. Van Eyck, raggiunse l'illusione del vero sommando pazientemente un particolare all'altro, affinché l'intero quadro apparisse come uno specchio del mondo visibile. Questa differenza tra arte nordica e italiana durò a lungo e fu importante, ogni opera che eccelle nella rappresentazione della bellezza, esteriore degli oggetti, dei fiori, dei gioielli o dei tessuti, sarà opera di un artista nordico, e più probabilmente dei Paesi Bassi; mentre una pittura dai contorni arditi, dalla prospettiva chiara e dalla sicura conoscenza del mirabile corpo umano sarà italiana. 
Per riuscire a rispecchiare la realtà in ogni particolare, Van Eyck doveva migliorare la tecnica della pittura: inventò la pittura a olio. La sua non fu un'assoluta novità come la scoperta della prospettiva; semplicemente egli ideò una nuova ricetta per la preparazione dei colori. I pittori di quel tempo, dovevano estrarre le loro tinte da piante colorate e da minerali che solevano frantumare loro stessi fra due pietre o affidando l'incarico a un apprendista, stemperando prima dell'uso con un liquido la polvere così ottenuta in modo da ricavarne una specie di impasto. In tutto il medioevo l'elemento liquido era perlopiù un uovo, perfettamente adatto allo scopo, ma che presentava lo svantaggio di seccare piuttosto in fretta. Questo tipo di pittura è detto a tempera. Usando l'olio invece dell'uovo, egli poteva lavorare più lenntamente e con maggiore precisione; poteva valersi di colori brillantida sovrapporre a strati trasparenti di velaturem e aggiungere gli effetti di maggior rilievo e splendore con un pannello appuntito, ottenendo così quei miracoli di esattezza che stupirono i contemporanei e fecero ben presto adottare da tutti la pittura a olio.




Jan van Eyck. I coniugi Arnolfini. 1434

L'arte di Van Eyck ottenne forse nei ritratti i risultati più brillanti. Uno dei suoi ritratti più famosi rappresenta un mercante italiano, Giovanni Arnolfini, recatosi nei Paesi Bassi per ragioni di commercio, con la sposa Giovanna Cenami. E' un'opera nuova e rivoluzionaria quanto quelle di Masaccio e di Donatello in Italia. Un angolo qualsiasi del mondo reale è stato colto istantaneamente su un pannello come per magia. Eccolo in tutti i suoi particolari: il tappeto, le pianelle, il rosario appeso alla parete, il piumino accanto al letto, e la frutta accanto alla finestra. La giovane ha appena messo la destra nella mano sinistra dell'Arnolfini, ed egli sta per mettere la sua destra in quella di lei, come pegno solenne della loro unione. Forse al pittore venne chiesto di perpetuare questo momento perché vi aveva assistito. Questo spiegherebbe perché il maestro abbia messo il proprio nome in un punto importante del quadro, con le parole latine Johanness de eyck fuit hic (Jan van Eyck era presente). Nello specchio in fondo alla camera vediamo tutta la scena riflessa a rovescio e lì pare si possa scorgere anche l'immagine del pittore e dei testimoni. Per la prima volta nella storia, l'artista diventa un perfetto testimone oculare nel senso più vero del termine. 


Konrad Witz. La pesca miracolosa. 1444

In questo tentativo di rendere la realtà come appare all'occhio, Van Evck, dovette rinunciare agli schemi piacevoli e alle fluenti curve del gotico internazionale. In ogni parte d'Europa, gli artisti di quella generazione, nella loro appassionata ricerca della verità sfidarono le più antiche concezioni estetiche e probabilmente scandalizzarono parecchie persone anziane. Uno dei più radicali innovatori fu un pittore svizzero di nome Konrad Witz (1400-1446). La figura è tratta dalla pala d'altare che egli dipinse per la città di Ginevra nel 1444. E' dedicata a San Pietro e rappresenta l'incontro del santo con Cristo dopo la Resurrezione, come viene raccontato nel Vangelo di san Giovanni, al capitolo 21. Alcuni apostoli e i loro seguaci erano andati a pescare al lago di Tiberiade, ma non avevano preso nulla. Allo spuntar del giorno Gesù si trovò sulla riva, ma essi non lo riconobbero. Disse loro di gettare la rete dal lato destro della barca e la rete si riempì talmente di pesce che non riuscivano più a tirarla su. In quel momento uno di loro disse: "E' il Signore", e a queste parole san Pietro "si cinse il camiciotto, perché era nudo, e si gettò in mare. Ma gli altri discepoli vennero con la barca, dopo di che spartirono la colazione con Gesù. Witz voleva presentare nella sua verità ai ginevrini la scena del Cristo ritto sulle acque. E così non dipinse un lago qualsiasi, ma un lago che tutti conoscevano, il lago di Ginevra, con il massiccio del monte Salève alto nello sfondo. E' un paesaggio reale, che tutti potevano vedere, che esiste tutt'oggi ed è ancora molto simile al quadro. E' forse, il primo "ritratto" di una veduta vera che sia mai stato tentato. Su questo lago reale Witz dipinse i pescatori reali, non i contegnosi apostoli delle antiche pitture ma volgare gente del popolo, affaccendata attorno agli arnesei da pesca e goffamente indaffarata a tenere in bilico il barcone. San Pietro sembrava annaspare disperatamente nell'acqua, proprio come in realtà dev'essere avvenuto. Solo Cristo si erge tranquillo e fermo sulle onde. La sua figura solida richiama alla mente quella del grande affresco di Masaccio. 

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