lunedì 28 maggio 2018

Luce e colore. Venezia e l'Italia settentrionale del primo Cinquecento

Luce e colore
Venezia e l'Italia settentrionale del primo Cinquecento

Venezia, che infiniti traffici legavano all'Oriente, era stata più lenta degli altri centri italiani ad accettare lo stile rinascimentale e l'applicazione brunelleschiana delle forme classiche dell'architettura. Ma una volta accettato lo stile, vi infuse una gaiezza nuova, uno splendore e un calore che evocano, la grandiosità delle grandi città mercantili del periodo ellenistico, Alessandria e Antiochia. 


Jacopo Sansovino. "Libreria" di San Marco a Venezia. 1536

La "Libreria" di San Marco. Architetto fu un fiorentino, Jacopo Tatti, detto il Sansovino (1486-1570), il quale però aveva adattato stili e modelli allo spirito del luogo, alla smagliante luce di Venezia che, rifless dalla laguna, abbaglia con il suo splendore. Il piano inferiore, con la vigorosa fila delle colonne doriche, obbedisce alla maniera più tradizionale: il Sansovino ha seguito fedelmente le regole architettoniche del Colosseo. Seguì la stessa tradizione adattando al piano superiore l'ordine ionico, che regge il cosiddetto "attico" coronato da una balaustra e sormontato da una fila di statue. Sui pilastri le aperture ad arco, come nel Colosseo, il Sansovino le appoggiò su un gruppo di colonne ioniche più piccole, raggiungendo così un ricco effetto di ordini intrecciati. Grazie alle balustre, alle ghirlande e alle sculture, riuscì poi a conferire all'edifcio qualcosa dell'ornato che era stato in uso nelle facciate gotiche di Venezia. 
E' una costruzione caratteristica del gusto dell'arte veneta del Cinquecento. L'atmosfera laggunare, sfumare i contorni troppo netti delle cose e fondere il calore in una luminosità diffusa, può avere insegnato ai pittori di quella città a usare il calore con maggio consapevolezza e attenzione di quanto non avessero mai fatto fino ad allora gli altri pittori italiani. Forse furono anche i rapporti con Costantinopoli e i suoi manoscritti a incrementare tale tendenza. I pittori medievali non si curavano del "vero" colore delle cose più di quanto si occupassero della loro vera forma. Nelle miniature, negli smalti  e nelle pale amavano stndere i colori più puri e preziosi di cui disponevano: l'oro splendente e il puro azzurro oltremare erano la combinazione preferita. I grandi riformatori fiorentini si interessavano più al disegno che al colore. Questo non significa che i loro quadri non avessero una tonalità squisita, pochi consideravanno il colore come uno dei mezzi principali per ottenere la fusione delle varie figure e forme di una pittura in uno schema unico, I pittori veneziani non consideravano i colori un ornamento accessorio della pittura già disegnata su tela. 


Giovanni Bellini. Madonna con i santi. 1505


Entrando nella chiesa di San Zaccaria a Venezia e osservando il quadro, posto sull'altare dipinto nel 1505 dal grande pittore veneziano Giovanni Bellini (1431-1516), ci accorgiamo subito che il suo atteggiamento verso il colore era ben diverso. Sono la pastostià e la ricchezza delle tinte a colpire, ancora prima che si cominci a considerarsi il soggetto rappresentato. La Vergine troneggia, con il Bambino che solleva la manina a benedire i devoti davanti all'altare. Un angelo ai piedi dell'altare suona dolcemente la viola, mentre i santi in atteggiamento tranquillo si raccolgono ai lati del trono: san Pietro con la chiave e il libro, santa Caterina con la palma del martirio e la ruota spezzata, santa Lucia e san Gerolamo, il dotto che tradusse la Bibbia in latino, e che Bellini quindi rappresenta immerso nella lettura. Bellini seppe infondere vita in una disposizione semplice e simmetrica senza sovvertirne l'ordine, come pur seppe trasformare le figure tradizionali della Vergine e dei santi in esseri vivi e reali senza privarli della loro dignità e del loro carattere sacro. Non sacrificò nemmeno la varietà e l'individualità della vita reale, come, aveva fatto il Perugino. Santa Caterina dal sorriso sognante, e san Girolamo, il vecchio dotto assorto nel suo libro, sono a loro modo abbastanza vivi, per quanto anch'essi, non meno delle figure del Perugino, sembrino appartenere a un altro mondo più sereno e più bello. 
Giovanni Bellini apparteneva alla stessa generazione del Verrocchio, del Ghirlandaio e del Perugino. Egli era padrone di una bottega assai operosa, dalla cui cerchia uscirono, Giorgione e Tiziano. I pittori veneziani seguivano Giovanni Belliniche aveva impiegato con tanto successo i colori e la luceper conferire unità alle sue pitture. Fu in questa sfera che Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (1478-1510), raggiunse i risultati più rivoluzionari. 


Giorgione. La Tempesta. 1508


Non siamo del tutto certi di ciò che rappresenta il più completo di essi, La  Tempesta: forse una scena tratta da quache autore classico o imitatore dei clasici, dato che gli artisti veneziani del tempo avevano riscoperto il fascino dei poeti greci e dei loro temi. Amavano illustrare storie idilliche di amore pastorale e ritrarre la bellezza di Venere e delle ninfe. Può essere la storia della madre di qualche futuro eroe cacciata con il suo bimbo dalla città nelle selve, dove viene scoperta da un giovane e gentile pastore. Questo sembra il tema che Giorgione ha voluto rappresentare. Per quanto le figure non siano disposte con eccessiva cura e la composzione sia piuttosto semplice, il dipinnto raggiunge una sua unità grazie alla luce e all'atmosfera che lo permeano: è luce misteriosa di tempesta, e, per la prima volta, pare che il paesaggio in cui gli attori si muovono non sia un semplice sfondo, ma abbia una sua autonomia e sia il vero tema del quadro. Giorgione non ha dipinto cose e persone per poi disporle nello spazio, la natura gli era presente fin dal primo istante: terra, alberi, luce, aria e nubi ed esseri umani con città e ponti sono concepiti come un tutto unico. 
Giorgione morì troppo giovane per poter raccogliere tutti i futti dellaa sua grande scoperta. Lo fece al suo posto il più famoso di tutti i pittori veneti, Tiziano Vecellio (1485-1576). Nacque in Cadore, raggiunse una fama che eguagliò quasi quella di Michelangelo. Perfino il grande imperatore Carlo V glli aveva fatto l'onore di chinarsi a raccogliere un pennello che egli aveva lasciato cadere. La personificazione del potere terreno che si inchina davanti alla maestà del genio. Era innanzi tutto un pittore, ma un pittore la cui sapienza nei colori eguaglia la maestria di Michelangelo nel disegno. 



Tiziano. Madonna con i santi e membri della famiglia Pesaro. 1519-1526

La sua estrema perizia gli permise di trascurare le venerate regole della composizione e di affidarsi al colore per ripristinare un'armonia da lui apparentemente infranta. Basta guardare il quadro "Madonna con i santi e membri della famiglia Pesaro" (1519-1526) per comprendere che impressione la sua arte deve avere fatto ai contemporanei. Era un ardimento inaudito spostare la Vergine al centro del quadro e fare dei due santi intercessori - san Francesco, riconoscibile dalle stimmate, e san Pietro, che ha deposto la chiave sui gradini del trono - due personaggi attivi dellla scena anziché due simmetriche figure di contorno come aveva fatto Giovanni Bellini. La pittura fu eseguita in ringraziamento per una vittoria sui turchi a opera del patrizio veneto Jacopo Pesaro, e Tiziano lo ritrae inginocchiato dinanzi alla Vergine mentre un porta-stendardo in carrozza trascina dietro di lui un prigioniero turco. San Pietro e la Verginelo guardano benevoli, e san Francesco, dal lato opposto, attira l'attenzione del Bambino Gesù sugli altri membri della famiglia Pesaro inginocchiati negli angoli del quadro. Tutta la scena sembra svolgersi in una corte scoperta, fra due gigantesche colonne che si levano verso le nuvole, dove due vivaci angioletti reggono la croce. L'insolita composizione serve solo ad animarlo e a renderlo più vivace senza turbare l'armonia dell'insieme, e questo è dovuto, al modo con cui Tiziano trasse partito dall'aria, dalla luce, dal colore per l'unità della scena. 


Tiziano. Il giovane inglese. 1540-1545

La maggior fama di Tiziano presso i suoi contemporanei si basò sui ritratti. Basta guardare una testa come quella comunemente detta del Giovane inglese, è semplice ed esente da qualsiasi traccia di sforzo. Quì non vi è più il modellato minuzioso della Monna Lisa di Leonardo, eppure questo giovane sconosciuto è altrettanto e non meno misteriosamente vivo. Pare fissarci con uno sguardo tanto intenso e spirituale che riesce quasi impossibile credere che questi occhi sognanti non sono altro che un pò di terra colorata, spalmata su un pezzo di tela. 


Tiziano.  Papa Paolo III con Alessandro e Ottavio Farnese. 1546

Ritratto di papa Paolo III ora a Napoli. Il vecchio pontefice si volge verso un giovane parente, Alessandro Farnese, che sta per rendergli omaggio mentre il fratello Ottavio guarda calmo lo spettatore. Tiziano aveva visto e ammirava il ritratto di papa Leone X coni suoi ccardinali dipinto da Raffaello circa ventotto anni prima, ma voleva anche superarlo quanto a vivezza dei caratteri. l'incontro di questi pesonaggi è così realistico e commovente che non possiamo fare a meno di riflettere su quali dovevano essere i loro pensieri e sentimenti Il quadro rimase incompiuto quando il maestro lasciò Roma chiamato in Germania per fare il ritratto all'imperatore Carlo V. 
Colui che dalle generazioni successive venne considerato il più "progressista" e ardito pittore di tutto il periodo condusse vita solitaria nella cittadina di Parma. Il suo nome era Antonino Allegri, detto il Correggio (1489-1534). Leonardo e Raffaello erano morti e Tiziano era già salito di fama quando il Correggio dipinse le sue opere più importanti, imparando il particolare trattamento del chiaroscuro. Fu in questo campo che egli elaborò effetti completamente nuovi, destinati a influire grandemente sulle scuole posteriori. 


Correggio. Natività. 1530

La figura mostra una delle sue pitture più famose, la Natività. Il pittore ha appena avuto la visione dei cieli spalancati in cui gli angeli cantano i loro "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". Nelle oscure rovine della stalla egli vede compiersi il miracolo: il Bambino appena nato che irraggia luce tutt'intorno, illuminando il volto bellissimo della madre felice. Il pastore si arresta e si toglie con mano impacciata il berretto dal capo, pronto a inginocchiarsi e ad adorare. Vi sono due servette, l'una abbagliata dalla luce che emana dalla mangiatoia, l'altra che guarda beata il pastore. San Giuseppe, nell'oscurità fitta dello sfondo, rigoverna l'asino. 
La composizione pare semplice, casuale; la scena affollata di sinistra non sembra bilanciata da un gruppo corrispondente a destra, ma solo dall'accentuaazione luminosa sul gruppo della Vergine e del Bambino. Il Correggio sfruttò, la scopertà della possibilità di equilibrare le forme mediante il calore e la luce, e di far convergere il nostro sguardo nei punti voluti. Siamo noi che accorriamo con il patore verso la scenaa, siamo noi a vedere ciò che egli vede: il miracolo della luce che rischiarò le tenebre, di cui parla il Vangelo di san Giovanni. 


Correggio. Assunzione 

Egli si forzò di dare ai fedeli, raccolti nella navata sottostante, l'illusione che la volta si fosse spalancata nella visione della gloria dei cieli. La padronanza ddegli effetti di luce diede modo al Correggio di riempire la volta di nubi illuminate dal sole fra le quali paiono librarsi stuoli celesti, con le gambe penzoloni. Quando si è nella scura, tenebrosa cattedrale medievale di Parma e si guarda verso la cupola, indubbiamente l'impressione è grandiosa. 

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