sabato 20 aprile 2019

Henri Matisse

Henri Matisse


Henri Matisse

La ricerca ansiosa della serenità


Henri Matisse. Lusso, calma e voluttà. 1904


Henri Matisse. La gioia di vivere. 1905-1906



Piastrelle persiane, sete orientali, tapppeti, cristalli: di tutte queste splendide cose amava circondarsi Henri Matisse (1869-1954). 
Insieme a Picasso, lo si annovera tra i grandi innovatori del linguaggio della pittura. 
Ansiosissimo da ragazzo, passò la vita a cercare una clama interiore che potesse anche assumerre le forme esteriori dell'arte. 
A ventun'anni, durante una malattia dovrua a un fisico debole che lo costringe anche in seguito a lunghe soste, incominciò improvvisamente a disegnare. Appena dopo la guarigione si trasferì dal Nord della Francia a Perugia, dove si iscrissi a corsi di decorazione e pittura. 
Si iscrisse alla classe del maestro simbolista Gustave Moreau e incominciò ad apprezzare la pittura di Corot, Manet, Monet. 
Frequentò assiduamente Pissarro e, comperò piccole opere di Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Rodin riconoscendo l'influenza che questi artisti esercitavano su di lui. 
Lesse con avidità il libro Da Delacroix al Neo-impresssionismo di Paul Signac, che divenne suo amico-maestro: testimonia questo legame con il quadro divisionista Lusso, calma e voluttà (1904), una composizione che associava il tema mitico delle bagnanti a quello meno mitico del pic-nic, il borghese déjeuner sur l'herbe. 
I viaggi in Corsica e sul Mediterraneo, la visione di una mostra di Turner a Londra, indirizzarono Matisse  verso una luminosità molto carica. 
L'amicizia con Albert Marquet, Maurice de Vlaminck, e André Derain gli consentì di diventare il perno attorno al quale ruotavano le cosiddette "belve selvagge". 

Fonti e tecniche


Henri Matisse. Donna con Cappello. 1905


Henri Matisse. Madame Matisse con scialle di Manila. 1911


Henri Matisse. Paesaggio a Collioure. 1905





Al Salon d'Automne del 1905 presentò la Donna con Cappello maestosa e raffinata, l'immagine della moglie appare gialla, ombreggiata da tratti verdi, sovrastata da un cappello-fruttiera e circondata da aloni verdi, blu e viola. 
Le pnnellate scorrono seguendo il gesto della mano, ora ordinate come quelle di Van Gogh, ora libere come quelle di Turner, sempre comunque energiche e lontane da ogni realismo. 
La gioia di vivere (1905), un'altra scena di bagnanti i cui singoli brani vennero poi ripresi da numerose altre composizioni. Scrive Gertrude Stein: "In questo quadro Matisse realizza per la prima volta la sua intenzione di deformare le linee del corpo umano al fine di armonizzare e semplificare il valore artistico dei colori puri, che adoperava soltanto accoppiati al bianco". Il quadro ritrae un esterno ma non è dipinto dal vero: a Matisse non ineressava l'aria aperta (il plein air), le preferiva il chiuso di una stanza anche durante i soggiiorni in Provenza.
Nel 1906il pittore partì alla volta dell'Algeria e, nel 1912-13, trascorse due lunghi periodi in Marocco; aeva già incontrato a Parigi l'arte islamica, con la sua negazione religiosa della figurazione e le sue superfici simmetriche, ripetitive, arabescate: i viaggi rinforzarono l'inclinazione dell'artista verso queste armonie.
Il quadro I tappeti rossi (1906), il desiderio di accogliere la sapienza e il lusso estetico della decorazione nella pittura a olio, La tavola imbandita del 1908, La famiglia del pittore (1911); e Madame Matisse con scialle di Manila (1911). 
La sua poetica matura venne chhiaramente descritta nelle sue Note di un pittore (1908). "L'espressione, consiste nella passione rispecchiata su un volto umano o tradita da un gesto violento. Il luogo occupato dalle figure o dagli oggetti, gli spazi vuoti intorno a essi, le proporzioni, tutto vi ha la sua parte. La composizione è l'arte di ordinare in maniera decorativa i vari elementi di cui il pittore dispone per esprimere i propri sentimenti". 
Un'opera d'arte deve essere armonia nella sua innterezza: qualsiasi dettaglio superfluo rimpiazzabile qualche dettaglio essenziale nella mente dello spettatore 

Lo stile di Matisse


Henri Matisse. La danza. 1909-1910


Henri Matisse. La musica. 1909-1910


Henri Matisse. L'Albero della vita. 1950




La forma circolare e la ripetizione ritmica, sempre assiciate a sentimenti di vitalità primoridali, divennero due costanti dell'opera di Matisse. 
La danza (1909-10)e La musia (1910), entrambia acquistati da un appassionato sostenitore russo e poi rimasti a San Pietroburgo. 
Il primo segue un motivo già accennato nella Gioia di vivere e fu eseguito in molte versioni. Cinque corpi rosso-arancio si stagliano su un fondo verde e blu, formando un cerchio di figure nude che è impegnato in un girotondo vorticoso. La velocità è resa dal disegno, ma anche dalla violenza delle associazioni di colore. 
Il secondo quadro descrive con gli stessi elementi una situazione di calma: ancora cinque corpi rossi stanno seduti su un prato verde a livelli diversi, come fossero note su un pentagramma (due infatti stanno suonando); qui vincono le perpendicolari e i colori sono stesi in modo più piatto e denso. Il risultato è che le figure sembrano tenute ferme e come tranquillizzate dal blu interno del cielo. 
Matisse sembra sempre più interessato ai rapporti tra colori. 
Benché abbia alternato fasi più decorative a fasi più figurative, Matisse non volle mai raggiungere l'astrazione. La toccò negli ultimi collages, ottenuti con ritagli di carta, definiti del resto, "un'astrazione che affonda le sue radici nella realtà". La figura gli consentiva di mostrare a quale punto di deformazione potesse portare ciò che descriveva. Anche quando non rappresentò che una sequenza di foglie, come nei Velluti del 1947, prese comunque spunto dall'universo reale e non da quello esclusivamente mentale. 
Matisse concluse la fase più attiva delle sue ricerche attorno al 1916, depresso dall'atmosfera della guerra e dall'eemergere di Picasso come leader dell'Avanguardia. 
Spiccano nella sua maturità due realizzazioni di dimensioni ambientali: il grande fregio che ripropone il tema della danza per la collezione dei coniugi americani Barnes (1931-33) e la Cappella del Rosario a Vence, in Provenza (1950), di cui l'artista ha progettato arredi, vetri e decorazioni murali in ceramica. Per entrambe le opere Matisse scelse l'assoluta piattezza del colore e un disegno ridotto ai minimi termini: quella seintesi che aveva tanto ammirato negli affreschi padovani di Giotto, ma anche in tutti quegli oggetti "minori" dei quali era circondato. 

martedì 16 aprile 2019

I Fauves. La bellezza del brutto

I Fauves

La bellezza del brutto


James Ensor. I vecchi mascherati. 1889


Amare il brutto fu la regola dell'espressionismo tedesco: in pittura e scultura nella musica delle dissonanze. 
Nel 1853 il tedesco Karl Rosenkranz pubblicò il suo trattato intitolato L'estetica del Brutto, in cui l'autore si proponeva di "scavare un più profondo accesso all'inferno dell'esistente". Il brutto appare come l'altra parte del sublime teorizzato dal filosofo Immanuel Kant nella sua Critica del Giudizio (1790), cioè quella sensazione forte, impossibile da elaborare da parte della ragione e mai oggetto di un vero giudizio, che si prova davanti agli eccessi: un paesaggio vastissimo, un cileo pieno di lampi, un'opera d'arte che ci impressiona così tanto da creare una sensazione di disagio. 
L'antitesi "Bello" e "Brutto" sembra ripetersi nel pensiero del filosofo più amato degli Espressionisti Friedrich Nietzsche, che però rivolta il loro valore, già dal suo primo libro La nascita della tragedia (1871): ciò che egli definisce "apollineo", cioè l'eccessivo, lo sfrenato, il brutto, incarna lo spirito positivo la vitalità libera da ogni costrizione. 

sabato 13 aprile 2019

I Fauves. La gabbia centrale del Salon del 1905. La follia dei colori. La rottura del gruppo

  I Fauves

La gabbia centrale del Salon del 1905


André Derain. 1903


Georges Braque. Il porto di Anversa. 1906


Raoul Dufy. Il porto di Le Havre. 1906





Nel 1905 Georges Desvallières, vice direttore del Salon d'Automne decise che avrebbero esposto in un'unica sala i pittori di un gruppo che comprendeva: Henri Matisse, Albert Marquet, André Derain, Maurice de Vlaminck, Henry Manguin, Charles Camoin; nelle sale attigue erano anche presentate opere di atmosfera affine eseguite da Othon Friesz, Georges Rouault, Kees van Dongen. A quel Salon non comparvero quadri di Raoul Dufy e di Georges Braque. Desvallières decise di intensificarlo, raggruppando nella stanza che è passata alla storia come la "gabbia ccentrale" coloro che vennero definiti Fauves, 'Belve selvagge'. Il visitatore, vi trovava un fuoco di colori assolutamente mai visto prima 
Più lungimiranti furono, invece, mercanti come Ambroise Voillard e Berthe Weill, che iniziarono a vendere le loro opere. 

La follia dei colori


André Derain. Donna in camicia. 1906


Maurice de Vlaminck. Ritratto di André Derain. 1906



Il termine di Fauvisme fu causa di molti fraintendimenti: primo tra tutti il fatto che quel gruppo avesse una vera unità d'intenti. Tutto ciò che lo univa era pensare che i colori usati dagli impressionisti fossero troppo smorti. Questi artisti, che non intendevano affatto criticare la società in cui vivevano né tantomeno creare opere violente, dedicate al disagio di vivere. Pur presenti in alcuni Espressionisti di area austriaca e tedesc questi tratti non compaiono in Francia, dove, prima della Grnde Guerra; l'atmosfera che si respirava era liberale e gioiosa, eccitata ma non aggressiva. 
Uno dei pochhi obiettivi comuni era descrivere il gusto di vivere, di sentire, di esercitare al massimo il potere di emozionarsi. 
Un'altra meta condivisa era di carattere formale, diretta conseguenza del Puntinismo di Seurat e Signac: in pittura ci vuole disciplina e anche dietro ai gesti più folli deve esserci una lunga preparazione; la fatica e il lavoro vanno orientati a costruire un quadro come organismo autonomo e non a copiare la natura o i maestri. I Faves volevano che la composizione stesse in piedi da sola, come un insieme si linee o di colori, a prescindere dalla scena ritratta. 
L'associazione dei Fauves si smorzò presto, lasciando in eredità ai pittori tedeschi la follia di colori e ai colleghi francesi la scoperta dell'arte africana: di quest'ultima derain e De Vlaminck soprattutto, ma anche Marquet e Matisse, divennero estimatori a causa della sua sinteticità. 

La rottura del gruppo


Maurice de Vlaminck. La Senna a Chatou. 1906


Il momento di rottura del gruppo fu la grande retrospettiva di Cézanne al Salon d'Automne del 1907.La riscoperta del maestro appena scomparso ebbe enorme importanza per talenti diversi quali Derain e De Vlaminck ma anche Delaunay, Pcasso, Braque, Modigliani. 
I protagonisti di quel momento cercarono ciascuno una strada propria, con diverso successo: alla massima autonomia raggiunta presto da Braque si contrapposero la svolta classica di Derain, convertitosi al culto di Raffaello, e la ripetizione di De Vlaminck dei quadri della gioventù. Del resto il vero fautore di quella poetica, colui attorno al quale gli altri gravitarono come astri più o meno lontani dal sole, era stato Matisse. 

venerdì 12 aprile 2019

James Ensor. L'ingresso di Cristo a Bruxelles. 1888-1889

James Ensor, L'ingresso di Cristo a Bruxelles, 1888-1889



James Ensor. L'ingresso di Cristo a Bruxelles. 1888-1889

Il capolavoro di Ensor mostra un flusso di persone che ha come modello la manifestazione politica e la processione religiosa, ma diventa un corteo carnevalesco. 
Lo spazio è reso solo dall'allinearsi e in lontananza delle persone: la città è fatta da chi la abita, per questo l'architettura scompare. Vaste zone di verde occupano la sinistra e soprattutto la destra dell'opera, incorniciando la scena principale con un colore che di solito è usato per descrivere un paesaggio naturale, ma che invece, è relativo ai vestiti dei personaggi e all'addobbo del palco. L'opera è pervasa da uno scetticismo generale: la vita va guardata in faccia senza illusioni, semplificandone l'interpretazione. 
Già la tecnica qui stende colori in modo volutamente semplificato e li riduce solo ai quattro principali verde, rosso, giallo e blu. 
Il disegno appare anch'esso ridotto al minimo, infantile nella costruzione della prospettiva, brutale nel modo in cui il pennello traccia i segni che poi diventano volti, adatto a descrivere un'umanità deludente: tra la gente comune e le autorità si riconoscono techi, cappelli da vescovo, soldati imbellettati. Lo stenndarrdo che reca la scritta"Vive la Sociale" diventa un modo per sottolineare il degrado a cui è giunta la vita comuniitaria. Non c'è nessuna possibilità di redenzione: se anche arrivasse un messia, come il titolo suggerisce, il contesto pronto ad accoglierlo sarebbe connotato dalla perdita di ogni autenticità nei rapporti umani. Persino il figlio di Dio avrebbe assorbito nella farsa generale: come accade appunto a un Cristo benedicente al centro della folla, riconoscibile per la sua aureola gialla. Un cartello in primo piano, in fondo a destra, reca la scritta "Viva Gesù re di Bruxelles", che riporta dall'altezza dei cieli alla bassezza delle cose terrene il senso della redenzione cristiana.

mercoledì 10 aprile 2019

James Ensor

James Ensor


James Ensor nel suo studio


James Ensor. Scheletri che si riscaldano ad una stufa. 1889


James Ensor. Strane maschere. 1891




James Ensor (1860-1949), portò nella sua pittura la tendenza a un immaginario inquieto e brulicante di personaggi grotteschi, le cui fonti erano i pittori fiamminghi del passato come Bosch e Bruegel. 
Il suo modo di dipingere, si presenta come un commento la gesto della borghesia meno raffinata, può essere addebitata anche all'attivià della madre, che gestiva una bancarella di maschere e souvenir sul lungomare di Ostenda. 
L'artista rivalutò il teatro di strada, il carneval e eltri aspetti del folklore, fino ad allora considerati troppo volgari, convinto che "la ragione è il nemico dell'arte", amò l'irrazionalità carateristica del linguaggio popolaresco; da questo imparò a mescolare persoanggi di tutti i giorni a personaggi-metafora: allegorie che compaiono nelle carte dei Tarocchi così come nelle leggende superstiziose, dalla morte del diavolo, dagli amanti segreti al matto del paese. 
Il legame con la classe boorghese è evidente nei quadri della sua prima fase pittorica (il "periodo scuro"), caratterizzata da interni di custumi cui si metteva in evidenza la loro pretesa rispettabilità. 
Dopo il rifiuto da parte del Salon di Brussel (1883), egli accentuò neel suo stile gli aspetti ironici e macabri: attraverso una tecnica tanto raffinata quanto apparentemente grossolana, Ensor iniziò a deridere l'ipocrisia della nuova classe dominante. I personaggi dei suoi quadri diventano maschere buffonesche, che cercano di farsi notare nella folla ma che in effetti si dispersdono in essa. I suoi Scheletri che si riscaldano alla stufa (1889) mostrano il gusto dell'assurdo; Le strane maschere (1891), espongono l'interesse per il genere artistico della caricatura, considerato secondario e popolare, probabilmente derivato dall'attenzione che Ensor aveva dimostrato per Damier e per gli altri disegnatori satirici. Egli stesso fu un grande incisore e si dedicò anche alla litografia. 
Egli derise l'ipocrisia del suo tempo, considerandosi in essi estraneo. Il pittore visse il resto della sua vita in un isolamento misantropo, benché a poco a poco sia stato accettato ed egli stesso abbia accettato, a sua volta con una certa ipocrisia, tutti gli onori ufficiali che il Belgio gli ha tributato dopo i difficili esordi. 

martedì 9 aprile 2019

Edvard Munch. Il grido 1893

Edvard Munch. Il grido 1893


Edvard Munch. Disperazione. 1892


Edvard Munch. Angoscia. 1894


Edvard Munch. Il Grido. 1893




Il sentimento dell'angoscia viene trasferito allo spettatore non soltanto dal tema e dai colori, ma anche da alcune peculiarità della composizione. La figura del protagonista parte dal centro del quadro, in basso, ma poi devia leggermente senza peraltro arrivare a occupare decisamente la destra della composizione. Il bordo superiore della testa occupa quasi il centro della linea mediana della tela, ma il nucleo dell'attenzione, l'ovale della bocca, risulta spostato verso il basso e oppresso dalla parte alta della composizione, più forte anche in termini di colore. 
Munch qui ci impedisce di indentificare la sua composizione con qualsiasi schema già praticato dalla storia dell'arte dunque, in un certo senso "pacifico". Il quadro è diviso dalla diagonale della staccionata: manca un piano orizzontale evidente, una base sicura su cui appoggia le figura. 
Il quadro ppotrebe rimandare alla perdita precoce della madre si è anche ipotizzato che il cielo rosso rimanda al sangue della madre morente, vista da Munch bambino in una crisi di tubercolosi. L'andamento labirintico delle curve al di sopra della testa sembra un prolungamento delle ellissi conccentriche della bocca, del viso mummificato dalla paura, delle mani intorno alle orecchie. 
I fiordi e il cielo, la natura diventano prolungamento del sentire dedl protagonista, un labirinto fatto di linee ondulate, seguendo le quali l'occhio vaga senza punti di riferimento stabili: ricordiamo che il timore della perdita dell'equilibrio psichico, della follia, caratterizzò l'intera vita dell'artista. 
Il quadro indica una compenetrazione tra le sensazioni individuali e la natura, che ricorda la sinestesia (unione di sensazioni provenienti da organi diversi) cara al poeta francese Baudelaire e, a tutta la filosofia e la letteratura del Romanticismo, soprattutto nella sua versione tedesca. 
In questo caso l'armonia si spezza: la natura non regala più all'uomo alcuna serenità. 
L'individuo rimasto solo, ferito, trasferisce la natura il proprio senso di perdita e la trasfigura in un lago di sangue (il rosso) e di lutto (il blu-nero). 
La vita stessa (la strada) è una pista scoscesa e impossibile da percorrere, paralizzati come siamo nell'inquietudine che avvolge, insieme a noi, tutte le cose. 
Le iopere di Munch possono essere collegate da una medesima visione pessimistica della vita, come si evince già dai titoli dei dipinti Disperazione, del 1892, e Angoscia, del 1894. Vi rivediamo la stessa composizione formale presente nel Il Grido, con un rapporto figura/sfondo che crea un dispositivo sapiente: il viso della figura in basso a destra pemette di stagliare il viso della figura in basso a destra direttamente sulla scena di un paesaggio naturale inquietante e insanguinato, gli antipodi del rapporto di osmosi tra natura benigna e figura messo in scena dai ritratti rinasciemtali. 

lunedì 1 aprile 2019

Neoclassicismo, linguaggio internazionale

Neoclassicismo, linguaggio internazionale

Il modello del Neoclassicismo inglese


John Nash, James Thomson St. Maryelbone, 1826. Cumberland Terrace. Londra

In Gran Bretagna il Classicismo si impose e gli stili precedenti ma in continuità visto che sin dai tempi dell'architetto Inigo Jones (1573-1652) si era sviluppata in quel Paese un'ininterrotta tradizione classica, in cui erano evidenti soprattutto gli influssi del Cinquecento italiano, in particolare di Andrea Palladio e di Vincenzo Scamozzi.
Nel corso del Settecento, poi, lo stile palladiano di lord Burlington aveva reppresentato un deciso contraltare alle forme barocche, rococò, anticipando quello che verrà definito l'Adam Style da Robert Adam (1728-1792), architetto che seppe fondere elementi palladiani e rinascimentali in edifici per i quali curava anche i singoli aspetti dell'arredo interno, la sua opera presenta una rara omogeneità e completezza. Le ville di campagna e i complessi residenziali realizzati da Robert Adam, sono caraterizzati non solo per la ricerca di un'armonia complessiva, ma anche per il senso di comodità e di intimità, oltre che di sobria eleganza, che connota gli interni, ornati spesso i bianchi stucchi del raffinato disegno. 
La solennità dell'ambiente convive con la leggerezza crommatica, come nel salone d'ingresso di Syon House (dal 1761), nei pressi di Londra, la partizione lineare delle pareti contrasta con lo schema geometrico del pavimento a marmi bianchi e neri. 
-Così John Nash (1752-1835) realizzò a Londra tra il 1812 e il 1827, nell'ambito di un ampio rinnovamnto urbanistico, il grandioso corso di Regent Street, su cui si affacciano edifici monumentali di impronta scenografica, provvisti di prospetti pieni di colonne e di statue, quasi per rinnovare i fasti della Roma imperiale.
John Soane (1753-1837), capace di progettare edifici ancora memori del Barocco, altri ispirati a un razionalismo che si direbbe derivato da Boullée e Ledoux (dell'Old Colonial Office, del 1818-1823), come la casa londinese dell'artista, dove oggi è allestito Soane's Museum, frutto della più stravagante combinazione di elementi.  

Il Neoclassicismo in Germania

In Germania, dove già nel 1789 Karl Gotthard Lnghans (1732-1808) si era ispirato all'Acropoli per la berlinese Porte di Brandeburgo, l'architettura conobbe una declinazione classicista grazie soprattutto a Karl Friedrich von Schinkel (1781-1841), e a Leo von Klnze (1784-1844), che con i suoi edifici di composta monumentelità e le grandiose piazze diede a Monaco quel carattere che ancora oggi la distingue. 

Il Neoclassicismo negli Stati Uniti


William Thornton, Benjamin Latrobe, Charles Bulfinch, Campidoglio. 1792-1827. Washinghton


Thoomas Jefferson (1743-1826), era stato il principale redattore della Dichiarazione d'indipendenza del 1776 e sarà poi eletto presidente degli Stati Uniti per due successivi mandati (1801-1809). Fu lui, cultore di architettura che realizzò la propria residenza di Monticello (presso Charlottesville) in stile neoclassico (1771, poi ristruturata nel 1793-1809) e che prese a modello per il Campidoglio di Richmond (1785-1796) la Maison Carrée di Nimes. 
A partire dal 1817, progettò l'Università della Virginia. Nel fondo spicca la biblioteca modellata sul Pantheon, mentre ai lati si allineano cinque padiglioni per parte, collegati dda porticati e caratterizzati ognuno da una particolare tipologia architettonica in modo che gli studenti possono accostarsi ai diversi stili. 
La prima stazione ferroviaria di Lowell, nel Massachusetts, del 1835, aveva un esempio la forma di un tempio greco e l'unico binario esistente passava sotto il colonnato. 

Il Neoclassicismo in Francia


Alexandre-Pierre Vignon, Chiesa della Madeleine, 1807-1842


Il Classicismo si impone in Francia soprattutto durante l'Età napoleonica. Punto di riferimento privilegiato divenne l'arcitettura dell'età imperiale romana, dalla quale venne ripreso, per esempio, il modello dell'arco di trionfo. 
Per celebrare Napoleone nel 1806 Jean François Chalgrin (1739-1811) diede inizio a Parigi all'Arco di Trionfo, completato solo molo più tardi, nel 1837, a causa delle contestazioni cui venne sottoposto il progetto e della caduta dell'Imperatore. 
Gli architetti preferiti da Napoleone erano però Charles Percier (1764-1838) a Pierre-François-Léonard Fontaine (1762-1853), che erano stati allievi di Boullée e che ebbero il compito di ristrutturare Parigi dal punto di vista urbanistico e architettonico. Rue de Rivoli e la zona attorno a Place Vendome, la costruzione nel 1806-1810 dell'Arc du Carrousel su iimitazione di quello di Settimo Severo nel Foro romano, l'arredamento di parecchi palazzi e castelli. 
Al e il 1827) e exandre-Pierre Vignon (1762-1846) comimciò a trasformare completamente la Chiesa della Madeleine, che era stata iniziata nel 1764, in un Tempio della Gloria dedicato alla Grande Armée: appoggiata su un alto basamento e circondata tutt'attorno da grandi colonne corinzie, poi restituita dal culto cattolico con la Restaurazione e infine completata solo nel 1842. 
La chiesa di Sainte Geneviève, dedicata a Santa Genoveffa, che Luigi XV aveva voluto in voto dopo la guarigione di una grave malattia. L'archtetto Jacques-Germain Soufflot (1713-1780) si era ispirato al PAntheon di Roma e Panthéon venne chiamato durante la Rivoluzione l'edificio, destinato a opsitare le tombe dei grandi di Francia. 

Il Neoclassicismo di Giacomo Quarenghi e Carlo Rossi


Giacomo Quarenghi, Palazzo dell'Accademia delle Scienze, 1783-1787. San Pietroburgo


Carlo Rossi. Palazzo Mikhailovskj. 1819-1825. Facciata sulla Piazza delle Arti 


In Russia il Neoclassicismo si espresse soprattutto attraverso il bergamasco Giacomo Quarenghi (1744-1817). 
Quando arrivò in Russia nel 1780, su invito della zarina Caterina II, aveva ale spalle una serie di viaggi in Francia e in Gran Bretagna. Continuò a lavorare, Paolo I e  Alessandro I, contribuendo in maniera determinante a creare il volto di San Pietroburgo secondo una prevalente impostazione neoclassica. 
Per la città, la capitale della Russia, Quarenghi progettò svariati edifici, dal Teatro dell'Ermitage (1783-1787), che riprende lo schema compositivo del teatro anntico e del Teatro Olimpico del Palladio, all'Accademia delle Scienze (1783-1787), alla Banca di Credito (1783-1790), alla Borsa (1784-1801). 
In tutte queste opere si avverte un senso di equilibrio e di elegante proporzione, attraverso la personale rielaborazione dei modelli palladiani. 
San Pietroburgo dal napoletano Carlo Rossi (1775-1849), che ralizzò nella città sulla Neva interi quartieri tra il 1819 e il 1827) e la Piazza d'Inverno (1819-1827)

sabato 30 marzo 2019

Gli architetti dell'utopia

Gli architetti dell'utopia

Il ripudio dell'ornamento e di una concezione dell'architettura attenta solo alle esigenze dei nobili improntò la ricerca di alcuni architetti attivi nella Francia solo nel XX secolo con il movimento del Modernismo e del Bauhaus. 

Boullée: il valore simbolico dell'architettura


Etienne-Louis Boullée. Progetto di un cenotafio per Isaac Newton. 1784. Veduta Notturna 


Etienne-Louis Boullée- Projet d'une Métropole. 1781-1782. 



Etienne-Louis Boullée (1728-1799). Ma nelle biblioteche, nei circhi, nei mausolei da lui disegnati si faceva strada un'idea di architettura come combinazione di elementi essenziali (la sfera, la piramide, il cubo, il cilindro), un spirito di grandiosità che doveva rinverdire l'impatto monumentale delle costruzioni tardoromane.  
La ciesa metropolitana (1781-1782), all'esterno contraddistinta da una cupola che si eleva al di sopra di quattro porticati classicheggianti, con i quali non stabilisce alcuna particolare relazione, all'interno connotata dalle dimensioni eccezionali. 
Il sepolcrale celebrativo, il cosiddetto Cenotafio di Newton, costituito da un'enorme sfera elevantesi su una struttura circolare, crcondata all'esterno da file di alberi disposte su diversi livelli e all'interno, a parte la presenza del sarcofago, completamente vuota. Piccole aperture avrebbero permesso l'illuminazione, con effetti di particolare suggestione. Si tratta in ogni caso di strutture dotate di valore più simbolico che funzionale. 

L'architettura come essenzialità geometrica in Ledoux


Claude-Nicolas Ledoux. Rotonde della Villette. Parigi. 1785-1789


Claude-Nicolas Ledoux (1736-1806) riuscendo, a realizzare i caselli daziari lungo la cinta di Parigi (dal 1784) secondo forme elementari. 
Le saline reali di Arc-et-Sanas, in cui la fabbrica è circondata da una vera e propria città su pianta ellittica. I disegni particolareggiati per i singoli edifici della sua città ideale, pubblicati in un libro, L'Architettura considerata in rapporto con l'arte, i Costumi e la Legislazione, che comparve nel 1804.
Troviamo, i progetti per le abitazioni, previste tutte isolate l'una dall'altra, e per gli edifici pubblici di Chaux (la Borsa, la Casa dell'educazione, l'Ospizio destinato ai viaggiatori, un Ginnasio a porticci per la cultura fisica e lo svago, un edificio commemorativo in onore del genere femminile eccetera). 
Il Cimitero di Chaux assomiglia alle catacombe, costituito da una serie di gallerie sotterranee che finiscono in un grande spazio sferico del diametro di una settantina di metri.
La sfera, all'interno non contiene nulla e non serve ad alcuno scopo, neppure per cerimonie funebri: è quinndi un simbolo del "nulla estremo", della vanità del tutto, o dell'infinito. Ciò vale anche per l'esterno dove nessun albero e nessun prato fiorito sono previsti per rendere meno desolato il paesaggio. 
Negli edifici residenziali compaiono spesso le colonne e gli archi; ma di tanto in tanot si trovano soluzioni ispirate a un vero culto della geometria, come accade nell'officina del bottaio, un cubo con il prospetto decorato da giganteschi cerchi concentrici. 
L'obiettivo fondamentale delll'utopia di Ledoux era quello di creare una città idealedove l'ultimo potesse trovare stimolanti occasioni di lavoro e diventare un cittadino onesto e rispettabile, alieno da ogni disordine. 

giovedì 28 marzo 2019

L'Architettura visionaria e utopica. Giovanni Battista Piranesi, tra filologia e amplificazione

L'Archittettura visionaria e utopica

Giovanni Battista Piranesi, tra filologia e amplificazione


Giovanni Battista Piranesi. Santa Maria del Priorati di Malta. 1764. Roma 


Nato a Venezia, Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) si trasferì a vent'anni a Roma. In quella che era allora la capitale mondiale delle arti, Piranesi realizzò delle serie di incisioni caratterizzate da una profonda perizia filologica da cui dipendere una scrupolosa ricostruzione dei motivi decorativi e stilistici dell'Antichità: i Capricci (o Grottechi) del 1745, le Vedute di Roma, del 1748-1775, le Anticità romane del 1756, le Carceri d'invenzione del 1760. 
I titoli stessi di queste opere, dimostrano però quanto l'artista fosse attratto, dalla licenza delle deviazioni rispetto alle norme, delle contaminazioni stilistiche anche ardite. Egli, vedeva nell'Antichità non un mondo idedale, perfetto ed immutabile, come tendevano a fare tant sgomenti teorizzatori del Neoclassicismo, ma un periodo movimentato anche in maniera drammatica, folto di luci e ombre. 
Una progressione enfatica e magniloquente fa si che egli nella sua opera incisoria alteri le proporzioni degli edifici e che scelga prospetive tali da evidenziare la massiccia solidità delle mura e la novità piovosa degli ambienti interni, così smisurati da sottolineare, per contrasto, la piccolezza delle figure umane. Alla base di una simile modalità di intendere l'antico sta soprattutto lo sbiigottimento dell'artista di fronte a un passato che appare talmente ineguagliabile da non poter essere rivissuto, ma solo rievocato nelle sue gigantesche ed impossibili rovine.
Parere sull'architettura (1765), Piranesi sostiene che l'architettura etrusca e quella romana fossero riccamente decorate, ciò attracerso tavole im cui le facciate degli edifici sono totalmente coperte di ornamenti. 
Nell'unica opera da lui realizzata, la ristrutturazione del complesso che comprendeva la Piazza, la Villa e la piccola Chiesa di Santa Maria del Priorato di Malta sull'Aventino (dal 1764), la particolare visione dell'antichità emerge nel proliferare di emblemi, targhe, trofei di armi che campeggiano sul muro di cinta della piazzetta, senza che sia sempre facile disinguere i motivi pagani. e quelli cristiani.

mercoledì 27 marzo 2019

L'architettura neoclassica.

L'ARCHITETTURA NEOCLASSICA


Leon von Klenze. Walhalla, 1830-1842. Germania 


Gli ideali neoclassici, così rivolti, al miglioramento delle condizioni di vita di un'umanità che si voleva rinnovata, si manifestarono anche nell'ambito urbanistico. 
Gli sviluppi economici in corso sin dalla fine del XVIII secolo, collegati a fatti politici fondamentali come la Rivoluzione francese,determinarono la nascita di nuove classi sociali e in particolare la presa del potere da parte della borghesia. 
I teatri, le accademie, i luoghi di ritrovo all'aperto come le piazze monumentali, i mercati, gli ospedali, costituiscono altrettante tipologie edilizie che si impongono nelle città. In tutti questi casi gli architetti fanno ricorso al linguaggio neoclassico, grazie al quale il repertorio della classicità viene ripreso. coem pretesto per semplificazioni formali e al tempo stesso come nobilitazione di funzioni e di usi la cui importanza viene riconosciuta proprio per le necessità collettive. 
Per quanto riguarda l'urbanistica, i monumenti non fanno più da sfondo alle ampie prospettive dei viali e dei parchi, ma ne costituiscono il centro ideale. Si pensi alla romana. Si pensi alla romana piazza del Popolo ideata da Giuseppe Valadier, a Parigi, al vasto insieme urbano che dal Louvrem attraverso i giardini delle Tuileries, Place de la Concorde e gli Champs-Elysées, giunge fino all'Etoile. 
Il movimento ebbe effetivamente un carattere mondiale, trovando ovunque un carattere mondiale, trovando ovunque declinazioni particolari proprio in ambito architettonico, per esempio nelle Americhe e nei Paesi asiatici. 

martedì 19 marzo 2019

Il primo quattrocento a Firenze e in Toscana. Jacopo della Quercia

IL PRIMO QUATTROCENTO A FIRENZE E IN TOSCANA

Jacopo della Quercia

Un'interepretazione personale del Rinascimento fiorentino

Il senese Jacopo della Quercia (Siena 1371/74-1438) seppe armonizzare la propria formazione gotica, avvenuta a contatto con l'arte senese e d'oltralpe, con un'interpretazione personale del Rinascimento fiorentino. 

Il Monumento funebre di Ilaria del Carretto





Jacopo della Quercia. Monumento funebre di Ilaria del Carretto, 1406-1407. Duomo di San Martino. Lucca

Il Monumento funebre di Ilaria del Carretto (1406-07), ordinato da Paolo Guinigi, signore di Lucca, in onore della seconda moglie morta nel 1405. 
La struttura deriva da esempi del Gotico Internazionale borgognone (Tomba di Filippo l'Ardito di Claus Sluter): la defunta, riccamente abbigliata e descritta con naturalezza, giace su un catafalco e ai suoi piedi è disteso un cagnolino, simbolo della fedeltà. 
Ciò che è nuovo è la teoria dei turgidi putti reggifestone chhe corre lungo i fianchi del monumento, certamente reciproca dai sarcofaghi antichi. 

La Fonte Gaia di Siena



Jacopo della Quercia. Acca Larentia. Fonte Gaia. Siena 1414-1418


Jacopo della Quercia. La Sapienza, Fonte Gaia, Siena. 1414-1418

La Fonte Gaia, scolpita tra il 1414 e il 1418 per la piazza del Campo di Siena ed oggi ridotta in frammenti e conservata nel Palazzo Pubblico. 
L'opera aveva una forte connotazione civica: il parapetto che copriva su tre lati la fonte, e collocata a livello del pavimento, era decorato da Storie della Genesi, Angeli, Virtù e dalla figura della Vergine al centro e quindi sormontato dalle staatue di Rea Silva e di Acca Larentia madre e nutrice di Romolo e Remo, considerati dai senesi i mitici fondatori della città. 
Le figure a rilievo sul progetto emergono senza schemi sulla superficie, raggiungendo esiti di notevole classicismo.
Acca Larentia, figura vitale di madre, dal nudo palpitante e morbidamente descritto, alla quale Jacopo riesce a infondere, con mezzi assolutamente gotici, un senso tuto classico. 

I rilievi del Portale maggiore di San Petronio



Jacopo della Quercia. Portale Maggiore di San Petronio. Bologna 


Formella della Creazione di Eva. Portale Maggiore di San Petronio. Bologna 


Vitalismo e moviimento caratterizzano con una cadenza completamente nuova l'ultiam opera di Jacopo della Quercia (che alla fine degli anni Venti aveva partecipato alla decorazione del Fonta Battesimale di Siena): i rilievi delle Storie della Genesi e Storie della Giovinezza di Cristo del Portale Maggiore di San Petronio a Bologna, rimasto incompiuto per la morte dello scultore (1438).
Lasciate da parte le delicatezze tardogotiche Jacopo mette in scena figure delicate, cariche di una forza che sta per esplodere di movimenti trattenuti a stento. 
Nudi erculei potentemente espressivi e panneggi rigidi occupano interamente le scene che non hanno quasi ambientazione. 

sabato 16 marzo 2019

Il primo quattrocento a Firenze e in Toscana. Lorenzo Ghiberti

IL PRIMO QUATTROCENTO A FIRENZE E IN TOSCANA

LORENZO GHIBERTI 

La mediazione tra Gotico Internazionale e Rinascimento



Lorenzo Ghiberti. San Giovanni Battista. 1412-16


Lorenzo Ghiberti. Porta Nord del Battistero di Firenze. 1401-1424


Lorenzo Ghiberti. Crocifissione


Lorenzo Ghiberti. Flagellazione 






Orafo, scultore pittore di vetrate e architetto Lorenzo Ghiberti (Firenze 1378-1455), svolse a Firenze un ruolo di primo piano nella mediazione tra la cultura del Gotico Internazionale, e quella del Rinascimento, edificando un linguaggio elegante, pacato, ricco di preziosità cortesi ma capace di tenere presenti le novità dell'arte di Brunelleschi e di Donatello. 
Esemplare ddella sua apertura al Gotico Internazionale è la Statua di San Giovanni Battista in bronzo per una delle nicchie esterne di Orsanmichele, caratterizzata dalla posa di hanchement, da un fluente e ritmico panneggio e da particolari raffinatissimi come la resa della barba e del vello. 

La seconda porta del Battistero di Firenze

Dal 1403 al 1424 Ghiberti attese, alla realizzazione della seconda porta del Battistero di Firenze (la prima era stata realizzata da Andrea Pisano negli anni 1330-1336), per la quale aveva vinto nel 1401 il concorso bandito dall'Arte della Calimala. 
Essa è composta da ventotto formelle lobate con la raffigurazione delle storie della vita di Cristo, i Padri della Chiesa e gli Evangelisti. 
Il lunghissimo arco cronolgico dell'esecuzione permette di seguire Ghiberti nella sua evoluzione da forme più prettamente cortesi, come nella Crocifissione, a forme maggiormente rinascimentali, come nella Flagellazione, caratterizzata da una chiara impaginazione spaziale della scena e di spunti classici (il corpo del Cristo flagellato) calati in un contesto sereno e pacato, antidrammatico. 
Condotta a termine la porta con le storie del Nuovo Testamento, l'Arte della Calimala decise di affidargli nel 1425 anche la terza porta del Battistero, dedicata alle Storie dell'Antiico Testamento, che, terminata nel 1452, sarebbe stata ribattezzata da Michelangelo Porta del Paradiso. 

La Porta del Paradiso


Lorenzo Ghiberti. Porta del Paradiso. Porta orientale del Battistero di Firenze. 1425-1452


Lorenzo Ghiberti. L'incontro tra Salomone e la regina di Saba


Lorenzo Ghiberti. Storie di San Giuseppe







Secondo il programma steso da Leonardo Bruni, la porta avrebbe dovuto presentare ventotto formelle entro compasso  gotico, raffiguranti ciascuna una storia dell'Antico Testamento. 
Con un mutamento di programma, si decise di realizzare solo dieci formelle quadrate, che riunissero diveersi epiisodi veterotestamentari: alcuni di essi furono scelti con il preciso intento di tracciare una rilettura della storia della salvezza, condotta alla luce della tradizione patristica latina e greca. 
Il nuovo programma iconografico fu dettato da Ambrogio Traversari, colto generale dell'Ordine camaldolese molto legato a Cosimo il Vecchio, conoscitore del greco e uno dei principali fautori della riunificazione della Chiesa greco-ortodossa a quella romana, sancita nel 1439 proprio a Firenze. A tale espisodio fa riferimento la formella raffigurante l'Incontro della regina di Saba con Salomone (allusivi la prima alla Chiesa d'Oriente e il secondo della Chiesa d'Occidente). 
Alla complessità di significati (religiosi, politici, culturali) richiesti del nuovo programma iconografico, Ghiberti rispose con un linguaggio coltissimo, carico di citazioni dell'antico e nel contempo raffinato e pacato. 

I Commentari di Lorenzo Ghiberti

Opera della tarda età di Ghiberti, i Tre Commentari, si presentano come un coacervo di memorie autobiografiche, considerazioni di carattere tecnico e notizie di cronaca, secondo il modello della letteratura memorialistica fiorentina nata nella seconda metà del Trecento, Così, inaugurano due generi di grande fortina: quello dell'autobiografia artistica, fondata sulla nascita delle proprie opere, e quello della biografia artitica, intesa neel senso attuale del termine, storia della vita di un maestro attraverso la sua produzione. 
Nelle biografie degli artisti trecenteschi riunite nel secondo Commentario, Ghiberti riferisce solo ciò che ha veduto, fornendo una messe straordinaria di notizie di prima mano esponendosi quindi come fonte di maggior credibilità nella storia dell'arte toscana del XIV secolo.