venerdì 15 settembre 2017

L'ARTE OCCIDENTALE NEL CROGIOLO DI FUSIONE Europa (VI-XI secolo)

L'ARTE OCCIDENTALE NEL CROGIOLO DI FUSIONE 
Europa (VI-XI secolo)

Il periodo posteriore alla caduta dell'impero romano, è in genere conosciuto col nome poco lusinghiero di "età delle tenebre". Per indicare che la gente vissuta in quei secoli di migrazioni, guerre e agitazioni era immersa nelle tenebre e possedeva uno scarso sapere che li guidasse. Non ci sono limiti rigidi per questo periodo, esso durò quasi cinquecento anni, a un dipresso dal 500 al 1000. In questi anni non si assiste al sorgere di uno stile chiaro e uniforme, ma piuttosto al contributo di un gran numero di stili diversi, che cominciò a risolversi solo verso la fine di quel periodo. La storia dell'alto medioevo, non fu solanto un periodo oscuro, ma discontinuo, caratterizzato da tremende disparità tra i vari popoli e le varie classi. In questi cinque secoli, nei monasteri e nei conventi, vissero uomini e donne che amarono la cultura e l'arte e professarono una grande ammirazione per le opere del mondo antico che erano state poste in salvo in biblioteche e forzieri. A volte questi monaci e chierici, dotti e raffinati detenevano posizioni elevate e influenti alle corti dei grandi e tentavano di ridar vita alle arti che maggiormente ammiravano. Le varie tribù teutoniche i goti, i vandali, i sassoni, i danesi e i vichinghi, che atraversavano l'Europa compiendo scorrerie e saccheggi, erano considerate brabare da chi apprezzava le conquiste greche e romane nel campo letterario e artistico. Avevano artigiani esperti nella raffinata lavorazione dei metalli ed eccellenti scultori in legno, paragonabili ai maori neozelandesi. Amavano schemi complicati e includevano corpi contorti di draghi o misteriosi intrichi di uccelli. Si ha motivo di credere che anch'esse considerassero le immagini come mezzi per operare magia ed esorcizzare gli spiriti maligni. Le figure di draghi intagliati, che troviamo sulle slitte e sulle navi vichinghe offrono un'idea adeguata del carattere di quest'arte. E'facile immaginare che queste minacciose testw di mostri fossero qualcosa di più che pure e semplici decorazioni. Infatti sappiamo che tra i vichinghi norvegesi certe leggi ordinavano al capo di una nave di togliere quelle figure in vista della terra natia, "per non atterrire gli spiriti locali". 


Chiesa di tutti i Santi a Earls Barton nel Northamptonshire, Inghilterra 1000 ca

I monaci e i missionari dell'Irlanda celtica e dell'Inghilterra sassone tentarono di volgere ai fini dell'arte cristiana le tradizioni degli artigiani nordici, ma i monumenti che in modo più sorprendente testimoniano del loro successo, sono alcuni manoscritti miniati in Inghilterra e in Irlanda durante il VII e VIII secolo.


Pagina dell'Evangeliario di Lindisfarne 698 ca

 In una pagina trata dal famoso Evangeliario di Lindsfarne miniato nel regno, di Northumbria e di poco anteriore al 700, vediamo la croce composta di una trina incredibile ricca di draghi e serpenti allacciati, sullo sfondo di un disegno ancora più complicato. E ancora più sconcertante è vedere come non vi sia la benché minima confusione e come anzi, i vari schemi corrispondono esattamente l'uno all'altro formando un'armonia complessa di disegno e colore. E' una prova che gli artisti eredi della tradizione indigena non mancarono certamente di abilità o di tecnica. 
Le figure umane nei manoscritti inglesi e irlandesi non sembrano veramente figure, ma piutosto bizzarre trame fatte di forme umane. Gli autori si valsero di esemplari trovati in un'antica Bibbia, adattandolo al proprio gusto. Mutarono le pieghe degli abiti in una specie di intrico di nastri i riccioli della chioma, e perfino le orecchie in volute, mutando il volto in una maschera impassibile. Le figure degli evangelisti e dei santi sono rigide e grottesche quanto gli idoli primitivi, e dimostrano come fosse ancora difficile per gli artisti cresciuti a contatto della tradizione indigena adeguarsi alle nuove esigenze di testi cristiani. L'allenamento della male e dell'occhio, che permetteva loro di tracciare meravigliose trame sulla pagina, aiutò gli artisti a immettere un nuovo elemento nell'arte occidentale, l'artista di questa figura si prefiggeva un altro scopo.


San Matteo 830 ca

Per lui San Matteo era un ispirato che trascriveva il verbo divino. Era un evento inebriante e di immensa portata nela storia dell'umanità quello che egli voleva ritrarre e in questa figura di un uomo intento a scrivere riuscì a esprimere qualcosa del suo senso di sgomento e di esaltazione. A fargli disegnare il santo con gli occhi spalancati e sporgenti e con le mani enormi, fu lo sforzo di conferire un'espressione intensamente concentrata. Lo stesso gioco delle pennellate del drappeggio e dello sfondo sembra derivare da uno stato d'animo fortemente eccitato. E' probabile che all'artista medievale si imponesse il ricordo delle linee e dei nastri intrecciati, che erano stati la maggior conquista dell'arte nordica. In pitture come queste vediamo emergere il nuovo stile medievale che rese possibile ciò che tentò l'arte antica orientale quanto quellaa classica avevano ignorato: gli aegizi avevano in gran parte disegnato ciò che sapevano che esisteva, i greci ciò che vedevano, nel medioevo l'artista impara a esprimere nella sua opera ciò che sente. 
Questi artisti non tendevano a fare cose somiglianti e mirabili, ma volevano trasmettere ai loro confratelli di fede il contenuto e il messaggio della storia sacra. E riuscirono nel loro intento, con risultati più felici rispetto alla maggior parte degli artisti percedenti o successivi. La figura tratta da un vangelo illustrato ("illuminato") in Germania, intorno all'anno 1000, rappresenta l'episodio narrato nel vangelo secondo Giovanni, quando Cristo, dopo l'ultima Cena, lavò i piedi ai discepoli: 

Pietro gli disse: "Tu non mi laverai mai i piedi!". Gesù gli rispose: "Se non ti lavo, non hai meco parte alcuna". E Simon Pietro: "Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!".

All'artista interessava unicamente questo scambio di parole. Egli collocò le figure principali davanti a un luminoso sfondo dorato, sul quale i gesti di coloro che parlano si stagliano come, una iscrizione solenne: il moto implorante di San Pietro, il pacato gesto didascalico di Gesù. Un discepolo a destra si sta togliendo i sandali, un secondo reca una bacinella, gli altri si affollano dietro san Pietro. Gi occhi di tutti sono fissi verso il centro della scena dando così la sensazione che ci stia accadendo qualcosa di immensa portata. Che cosa importa se la bacinella non è proprio rotonda e se il pittore è stato costretto a torcere la gamba di san Pietro, portando il ginocchio un pò in avanti, aaffinché il piede nell'acqua fosse ben visibile? Egli era preoccupato del messaggio della divina umiltà, ed è questa che ci trasmise. 
Ricordiamo che l'inssegnamento di Gregorio Magno che "la pittura può servire all'analfabeta quanto la scrittura a chi sa leggere". Tale ricerca di chiarezza emerge non solo dalle opere dipinte ma anche dalle sculture, quale per esempio il pannello del portale di bronzo fatto per la Chiesa di Hildesheim in Gremania, poco dopo il 1000 che rappresenta Dio nell'atto di avvicinarsi ad Adamo ed Eva dopo il peccato. Ma la concentrazione degli elementi essenziali fa spiccare con tanto maggior risalto le figure sulla semplicità dello sfondo e quasi possiamo leggere, ciò che esse dicono con i loro gesti: Dio punta il dito verso Adamo, Adamo verso Eva ed Eva verso il serpente. Il trapassare dela colpa e l'origine del male sono espressi con tanto vigore w tanta chiarezza che immediatamente dimentichiamo lo scarso rigore delle proporzioni e la mancanza, nei corpi di Adamo ed Eva, della bellezza intesa secondo i nostri canoni. 
Nel medioevo non furono costruite soltanto chiese ma anche castelli, e i baroni e i signor feudali ai quali i castelli appartenevano e vole vano non di rado dell'opera delgli artisti. La ragione per cui siamo propensi a dimenticare questi lavori parlando dell'arte, del primo medioevo è semplice: i castelli vennero spesso distrutti, mentre le chiese furono risparmiate. Un grande esempio di pittura decorativa è potuto giungere fino a noi, perché custodito in una chiesa. Si tratta della famoosa tappezzeria di Bayeux, che illustra la storia della conquista normanna. Non sappiamo esattamente quando venne tessuta. ma la maggior parte degli studiosi è d'accordo nel ritenere che risalga al tempo in cui era ancora vivo nelle menti il ricordo delle scene che illustra: forse al 1080 circa. 



Tappezzeria di Bayeux 1080 ca

La tappezzeria è una cronaca figurata del genere caro all'arte orientale e romana è racconta in modo mirabilmente vivo la storia di una campagna militare e di una vittoria. Aroldo che presta giuramento di fedeltà a Guglielmo, e il suo ritorno in Inghilterra. Ecco guglielmo sul trono che osserva Aroldo mentre stende la mano in segno di giuramenteo sulle relique sacre (fu il giuramento che fornì il pretesto a Guglielmo per le sue rivendicazioni in Inghilterra). L'uomo sul balcone nella scena seguente, che fa schermo agli occhi con le mani per scorgere in lontananza l'arrivo della nave di Aroldo. Certo le sue braccia e le su dita sembrano piuttosto goffe e tutte le figure della storia sono strane. Quando l'artista medievale di questo periodo non aveva un modello da copiare, i suoi disegni erano piuttosto infantili. Condusse il racconto epico con una straordinaria economia di mezzi, concentrandossi talmente su ciò che gli sembrava importante da cogliere con la sua opera, più di quanto, forse, non riescano oggi i resoconti giornalistici e la televisione. 

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