giovedì 21 giugno 2018

Una crisi dell'arte. Europa. Tardo Cinquecento

Una crisi dell'arte. Europa. Tardo Cinquecento

Nelle città italiane, attorno al 1520, tutti gli amatori d'arte parevano concordi nell'affermare che la pittura aveva raggiunto l'apice della perfezione. Michelangelo e Raffaello, Tiziano e Leonardo, avevano mostrato come bellezza e armonia potessero combianrsi con l'esatezza e avevano perfino superato, le più celebru statue greche e romane. Tutto, in arte, era stato raggiunto. Taluni parevano accettare questa idea come inevitabile, e si applicavano intensamente a studiare ciò che Michelangelo aveva studiato, nella speranza di imitare nel migliorr modo possibile la sua maniera. Il risultato fu a volte lievemente ridicolo: le scene sacre della Bibbia sembrano ora affollate da squadre di giovani atleti in allenamento. In seguito aluni critici, rendendosi conto che questi giovani pittori erano andati fuori strada solo eprché imitarono la maniera piuttosto che lo spirito delle opere michelangiolesche, hanno definito "periodo del manierismo" quello in cui tale moda imperò. Ma non tutti i giovani di allora furono così sciocchi da crwdere che l'unica esigenza dell'arte fosse una collezione di nudi in pose complicate. Molti, si domandavano se l'arte potesse mai veramente subire un arresto e se non fosse possibile, superare i famosi maestri della generazione precedente, se non nel trattamento delle forme umane almeno in qualche altro campo. Alcuni vollero superarli nell'inventiva, creando quadri pieni di significato e di sapienza; maa di una sapienza tale da riuscire oscura a tutti tranne ai più colti esperti. Altri ancora vollero attirare l'attenzione facendo opere men naturali, meno immediate, meno semplici e armoniose di quelle dei grandi maestri che sono senz'altro perfette: ma la perfezione non interessa in eterno. Certo c'era qualcosa di lievemente morboso in questa febbre di superare i maestri che portò anche i migliori fra i giovani artisti a esperimenti strani e cerebrali. Eppure questi frenetici tentativi di progredire erano il massimo tributo che si potesse rendere agli artisti precedenti. In certa misura i grandi artisti "classici" avevanno essi stessi iniziato e incoraggiato esperimenti strani e insoliti; grazie al loro nome e al credito di cui fruirono negli anni più tardi, avevano potuto tentare effetti coloristici nuovi e poco ortodossi: aprendo nell'arte nuove possibilità, Michelangelo, aveva talvolta coragiosamente trascurato ogni convenzione, soprattutto nell'architettura, staccnadosi dalle regole consacrate dalla tradizione classica per abbandonarsi ai suoi umori e alle sue fantasie. 


Federico Zuccari. Una finestra di Palazzo Zuccari a Roma. 1592

Era naturale che i giovani artisti interpretassero ciò come un incitamento a stupire il pubblico con invenzioni "originali". Dai loro tentativi nacquero disegni divertenti. La finestra a forma di viso, disegnata da un architetto e pittore Federico Zuccari (1543-1609), rende bene l'idea di questo genere di capricci. L'architetto Andrea di Pietro della Gondola, detto Palladio (1508-1580). 


Andrea Palladio. "La Rotonda" presso Vicenza. 1550

La figura mostra la suua famosa villa La Rotonda presso Vicenza. A suo modo è anch'essa un "capriccio" perché presenta quattro lati identici, ciascuno con un porticato da tempio classico, delimitanti una sala centrale ispirata al Pantheon. 
Lo scultore e orafo fiorentino Benvenuto Cellini (1500-1571). Era millantatore, spietato e vanitoso, ma racconta la storia delle sue avventure e delle sue imprese con tale gusto che si ha l'impressione di leggere un romanzo di Dumas. 


Benvenuto Cellini. Saliera in oro cesellato e smalto su base di ebano. 1543

Cellini è un autentico prodotto del suo tempo. Per lui essere artista non significava più essere un rispettabile e tranquillo proprietario di boottega, ma piuttosto un "virtuoso" per i cui favori rivaleggiassero principi e cardinali. Una delle poche opere di mano sua giunta fino a noi è una saliera d'oro fatta per il re di Francia nel 1543. Rappresenta la Terra e il Mare, per mostrare come mare e terra si compenetrino, intrecciò le gambe delle due figure. 
La concezione celliniana è tipica di quel periodo inquuieto e febbrili tentativi volti a cercare qualcosa di più interessante e originale dell'arte delle precedenti generazioni, Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (1503-1540). 


Parmigianino. Madonna dal collo lungo. 1534-1540

Certuni potranno sentirsi urtati dalla Madonna della figura, per l'affettazione e la cerebralità con cui viene reso un soggetto sacro. L'opera è detta la Madonna dal collo lungo perché il pittore, tutto teso a far apparire aggraziata ed elegante la Vergine, le ha dato un collo da cigno, distorcendo e allungando bizzarramente le proporzioni del corpo umano. Vediamo la mano della Vergine, dalle lunghe dita delicate, la lunga gamba dell'angelo in primo piano, il macilento profeta con il rotolo di pergamena come in uno specchio deformante. L'artista si è preoccupato, di mostrarci che queste forme innaturalmente allungate gli piacevano, se, per garantirne l'effetto, ha pposto sullo sfondo un'alta colonna di foggia bizzarra e di proporzioni parimenti eccezionali. Egli ha pigiato una schiera di angeli uno sull'altro in un angolo stretto, mentre nell'angolo opposto, vuoto, campeggia l'alta figura del profeta, ma così ridotta per la distanza da non raggiungere nemmeno le ginocchia delle Vargine. Il pittore non accettava i canoni consacrati e voleva mostrare come la concezione classica dell'armonia non fosse la sola possibile: che se la semplicità naturale è un mezzo per raggiungere la bellezza, vi sono due modi meno diretti, per gli amatori d'arte raffinati, di ottenere effetti interessanti. Il Parmigianino fu tra i primi pittori "moderni". Vedremo, che ciò che chiamiamo arte "mmoderna" può affondare le sue radici in un'analoga esigenza di evitare l'ovvio per raggiungere effetti diversi dalla convenzionale bellezza della natura.


Giambologna. Mercurio. 1580

Altri artisti furono meno scettici sulla possibilità di superarlo sulla base consueta dell'abilità e del virtuosismo. La statua di Mercurio, il messaggero degli dèi, dello scultore fiammingo Jean Boulogne (1529-1608), che gli italiani chiamarono Giambologna. Egli si era proposto di attuare l'impossibile in una statua capace di vincere il peso della materia e di crere la sensazione di un rapido volo attraverso l'aria. Questo famoso Ermes tocca solo con la punta del piede la Terra: o meglio, uno sbuffo d'aria che esce dalla bocca di una maschera simboleggiante il vento del Sud. 
Forse uno scultore classico, avrebbe biasimato tale effetto in una statua che dovrebbe ricordare il blocco pesante da cui proviene: ma Giambologna, preferì sfidare queste regole da tempo codificate mostrando quali effetti sorprendenti si potessero ottenere per altra via. 
Jacopo Robusti, soprannominato il Tintoretto (1518-1594). Era stanco della pura bellezza di forme e colori che Tiziano aveva mostrato ai veneziani.


Tintoretto. Ritrovamento dei resti di san Marco. 1562

La figura mostra come effettivamente sia riuscito a dare originalità e fascino ai suoi dipinti. Invece di una nitida e raffaellesca disposizione delle figure principali, ci troviamo davanti agli occhi uno strano e profondo scantinato. Nell'angolo di sinistra un alto uomo aureolato soleva il braccio come a fermare un evento che sta per accadere; seguendo il suo gesto scorgiamo, in alto sotto la volta, nell'altro lato del quadro, due uomini che stanno calando un corpo tratto da una tomba di cui hanno aperto il coperchio, e un terzo, in turbante, li aiuta, mentre nello sfondo, valendosi di una torcia, un patrizio tenta di leggere l'iscrizione di un altro sepolcro. Si sta evidentemente saccheggiando una catacomba. Uno dei morti, è steso in terra su un tappeto, mentre un vecchio pieno di dignità e sontuosamente vestito, lo contempla in ginocchio. A destra c'è un gruppo di uomini e donne i quali, visibilmente stupefatti, osservano la figura che deve essere un santo. Se guardiamo più da vicino vediamo che tiene in mano un libro: è san Marco Evangelista, il santo Patrono di Venezia. Il dipinto rappresenta la storia di come i resti di san Marco vennero portati da Alessandria a Venezia, dove, per ospitarli, fu costruita la fomsa chiesa di San Marco. Narra la storia che san Marco era stato vescovo di Alessandria ed era stato sepolto in una delle catacombe della città. Quando il gruppo di veneziani penetrò nella catacomba per compiere la pia impresa di trovre i resti del santo, non sapeva in quale delle molte tombe la preziosa reliquia fosse nascosta. Ma quando si trovò presso qualla giusta, san Marco apparve all'improvviso, indicando i resti della propria esistenza terrena. Il santo ordina agli uomini di sospendere l'esame delle tombe. Il suo corpo è stato ritrovato e giace ai suoi piedi inondato di luce e già con la sua presenza opera i miracoli. L'indemoniato che si contorce, a destra del quadro, è esorcizzato e il filo di fumo che gli esce dalla bocca rappresenta il diavolo di cui si libera. Il patrizio in ginocchio in segno di gratitudine e di adorazione è il donatore, membro della confraternita religiosa he aveva commissionato il quadro.


Tintoretto. San Giorgio e il drago. 1555-1558

 Il Tintoretto sacrificò anche la pastosa gamma cromatica delle precedenti opere di Giorgione e di Tiziano, vanto e conquista della pittura veneta. Il suo quadro con la lotta di san Giorgio e il drago, ora a Londra, mostra come i toni spezzati e la luce irreale accentuino la drammaticità e la commozione. Sentiamo che il dramma ha raggiunto l'apice. La principessa sembra precipiarsi fuori dal quadro mentre l'eroe; contro ogni regola, è confinato sul fondo della scena. Così come si presentava la sua opera peccava per la scarsa accuratezza dell'esecuzione e per l'eccentricità del gusto, pensava Vasari, perplesso per la mancanza delle "rifiniture" nei dipinti del Tintoretto. In periodi come quello cui appartiene il Tintorettola tecnica aveva raggiunto un livello così alto che chiunque, con una certa atitudine meccanica, poteva assimilarne gli accorgimenti. Un uomo della statura del Tintoretto voleva mostrare le cose in una nuova luce, voleva entare nuovi modi di rappresentare le leggende e i miti del passato. Avrebbe considerato perfetta la sua postura quando avesse espresso la propria visione del mondo fvoloso. Una rifinitura liscia e attenta non poteva interessarlo perché non serviva ai suoi fini: avrebbe potuto anzi distrarre l'attenzione dagli eventi drammatici che si svolgevano nel quadro. Sicché lasciò la sua opera com'era e la gente perplessa. Domìnikos Thetokòpulos (1541-1614) fu abbreviato in El Greco. Era venuto a Venezia da un ngolo appartato del mondo che dal medioevo in poi non aveva elaborato alcuna nuova forma d'arte. In patria doveva essere abituato a vedere le immagini dei santi nel vecchio stile bizantino, solenni, rigide, lontanissime da ogni verosimiglianza. Anch'egli, uomo probabilmente appassionato e devoto, si sentiva spinto a narrare le storie sacre con un linguaggio nuovo e vivo.


El Greco. L'apertura del quinto sigillo dell'Apocalisse. 1608-1614

Dopo la sua permanenza a Venezia, si stabilì in una parte lontana dell'Europa, a Toledo, in Spagna, non avrebbe certo corso il rischio di essere disturbato e incalzato dai critici in nome dell'esattezza naturalistica del disegno. Uno ddei suoi quadri di più sorprendente efficacia, rappresenta un passo dell'Apocalisse di san Giovanni, ed è lo stesso san Giovanni che vediamo a sinistra del dipinto, rapito in estasi, con lo sguardo rivolto al cielo e le braccia levte in un gesto profetico. 
Il passo è quello nel quale l'agnello chiama san Giovanni perché venga a vedere l'apertura dei sette sigilli. Le figure nude dai gesti concitati sono perciò i martiri che si levano dalle loro tombe e gridano venddetta al cielo, stendendo le mani per ricevere il dono devino delle vesti bianche. El Greco ha imparato molto dal nuovo metodo compostivo asimmetrico e anticonformista del Tintoretto e ha altresì adottato figure troppo manieristicamente allungate, come la sofisticata Madonna del Parmigianino. Viveva in Spagna, dove la religione assumeva un mistico fervore che non aveva riscontro in alcun altro luogo: in una simile atmosfera l'arte cerebrale del manierismo doveva fatalmente peredere gran parte del carattere estetizzante. Per quanto la sua opera ci colpisca per l'incredibile "modernità", i contemporanei sspagnoli non sembrano aver sollevato obiezioni del genere di quelle di Vasari al Tintoretto.


El Greco. Frate Hortensio Felix. Paravicino. 1609

I maggiori possono veramente stare alla pari con quelli di Tiziano. Fu soltanto una generazione più tardi che la gente prese a criticare l'innaturalezza delle sue forme e dei suoi colori, considerando i suoi quadri quasi come scherzi di cattivo gusto. E soo dopo la Prima guerra mondiale, quando gli artisti moderni ci insegnarono a non applicare gli stessi criteri di "esattezza" a tutte le opere d'arte, El Greco fu riscoperto e compreso. 
Nel Settentrione, in Germania, Olanda e Inghilterra, gli artisti si rovavano dinanzi a una crisi ben pià reale di quella dei loro colleghi d'Italia e Spagna. Nel Nord la questione pressto si trasformò in un'altra: se la pittura dovesse o meno continuare a esistere. La grande crisi fu provocata dalla Riforma. Molti protestanti erano contrari alle statue e ai quadri nelle chiese perché li consideravano un segno di idolatria papista. Così i pittori delle regioni protestanti persero la loro principale fonte di guadagno: la pittura di pale d'altare. Agli artisti rimaneva, come unica fonte regolare di guadagno, la possibilità di illustrare libri e di fare ritratti: ma era dubbio che così riuscissero a vivere. 
Hans Holbein il Giovane (1497-1543). Holbein era di ventisei anni più giovane di Dürer e solo di tre anni più anziano di Cellini. Nacque ad Augusta; ricca città mercantile legata all'Italia da stretti rapporti commerciali, ma ben presto si trasferì a Basilea, città assai nota perché aperta alle nuove correnti culturali. Holbein, proveniva dalla famiglia di un pittore (il padre era un artista stimato) ed essendo di ingegno straordinariamente vivaceassimilò ben presto le conquiste degli artisti ssia nordici sia italiani Aveva poco più di trent'anni quando dipinse la mirabile pala d'altare della Vergine con i donatori: la famiglia del borgomastro di Basilea.


Hans Holbein il Giovane. La Vergine e il Bambino con la famiglia del borgomastro Meyer. 1528

L'iconografia era qualla convenzionale in tutti i paesi. Ma il quadro di Holbein rimase uno degli esempi perfetti del suo genere. Il modo con cui sono diposti i gruppi dei donatori, ai due lati della figura calma e regale della Madonna incorniciata da una nicchia classica. L'attenta cura del particolare e una certa indifferenza per la bellezza convenzionale mostrano come Holbein avesse imparato il mestiere nel Nord. Nel 1526 abbandonò la Svizzera per l'Inghilterra con una lettera commendatizia del gran dotto Erasmo da Rotterdam. "Qui le arti sono il gelo" scriveva Erasmo raccomandando il pittore ai suoi amici, fra i quali Thomas More.


Hans Holbein il Giovane. Anne Cresacre, nuora di Sir Thomas More. 1528

Uno dei primi incarichi che Holbein ricevette in Inghilterra fu quello di fare un grande ritratto della famiglia di quel dotto, e alcuni studi particolari per quell'opera sono tutt'ora conservati al castello di Windsor. Stabilitosi definitvaamente in Inghilterra. ricevuto da Enrico VIII il titolo uffuciale di pittore di corte, trovò almeno na sfera di attività che gli consentiva di vivere e lavorare. Disegnò gioielli e mobili, costumi per feste e decoarzioni per saloni, armi e coppe. Il suo compito principale era però quallo di fare ritratti ai reali, ed è grazie all'occhio infallibile di Holbein che ci resta un quadro così vivace degli uomini e delle donne del periodo di Enrico VIII.


Hans Holbein il Giovane. Sir Richard Southwell. 1536

La figura ci mostra il ritratto di Sir Richard Southwell, un funzionario e cortigiano che ebbe una parte importante nell'aboolizione dei monasteri. Il modo in cui Holbein ha disposto la figura nel quadro mostra il tocco sicuro del maestro. Holbein, nei primi ritratti tentava ancora di sfoggiare la sua mirabile abilità nel rilievo dei particolari, nella caratterizzazione di un modello attraverso il suo ambiente e gli oggetti fra cui trascorreva la vita. ma quanto più invecchiava (e la sua arte si faceva matura) tanto meno sentiva il bisogno di simili espedienti. Non voleva mettere in luce sé stesso e distogliere l'attenzione dal modello.


Hans Holbein il Giovane. Georg Gisze, mercante tedesco a Londra, 1532

Quando Holbein ebbe abbandonato i peasi di lingua tedesca, in essi la pittura cominciò a declinare in modo impressionante e, lo stesso avvenne in Inghilterra. Il ritratto di un giovane gentiluomo inglese del periodo elisabettiano, è uno degli esempi migliori di questo nuovo tipo di ritratto. E' una miniatura del famoso maestro inglese Nicholas Hilliard (1547-1619), un contemporaneo di Sir Philip Sidney e di William Shakespeare. Guardanndo questo damerino che tra selvtiche roselline spinose si appoggia languidamente a un albero, con la mano destra premuta sul cuore, il nostro pensiero corre alle pastorali di Sidney e alle commedie di Shakespeare. Forse la miniatura doveva essere un ono del giovane alla dama corteggiata, poiché reca l'iscrizione latina "Dat poenas laudata fides". Per un giovane galante di quei tempi malinconia e amore mal corrisposto erano di prammatica. Sospiri e sonetti facevano parte di un gioco aggraziato e complicato, che nessuno prendeva troppo sul serio ma in cui tutti volevano brillare escogitando nuove variazioni e raffinatezze.


Nicholas Hilliard. Giovane uomo fra le rose. 1587

Ci fu un solo paese protestante in Europa in cui l'arte riuscì a sopravvivere del tutto alla crisi della Riforma: i Paesi Bassi. Là dove la pittura era così a lungo fiorita, gli artisti trovarono una via d'uscita alle loro difficoltà, si specializzarono in tutti i soggetti contro i quali la Chiesa protestante non poteva sollevare obiezioni. Dai tempi lontani di Van Eyck gli artisti dei Paesi Bassi erano riconosciuti come perfetti imitatori della natura. Gli italiani, erano pronti a riiconoscere che i "fiamminghi" li superavano per la pazienza e l'accuratezza con cui sapevano ritrarre un fiore, un albero, un granaio o un gregge di pecore. Era naturale che gli artisti del Nord, ai quali non si commissionavano più pale d'altare o altre opere di devozione, tentassero di trovare uno sbocco commerciale alle loro note specialità dipingendo quadri il cui pregio essenziale era la stupenda abilità e fedeltà della rappresentazione. Ora che l'ambito della pittura era ristretto, i pittori avanzarono per questa via tentando di sviluppare quelle tradizioni dell'arte nordica che risalivano al tempo delle droleries sui margini dei manoscritti medievali, e alle scene di vita reale dell'arte quattrocentesca.. Le pitture che riproducevano scene della vita quotidiana e soggetti affini sono note usualmente sotto il nome di "pitture di genere". Il maggior maestro di pitture di genere nel Cinquecento fu Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569). Come molti artisti nordici del suo tempo, fu in Italia e visse e lavorò ad Anversa e a Bruxelles e dipinse la maggior parte dei suoi quadri tra il 1560 e il 1570, il decennio che vide l'arrivo nei Paesi Bassi del truce duca d'Alba. In uno dei suoi magniici disegni è chiaro che egli si propone di mettere in risalto il contrasto tra il pittore orgoglioso e l'individuo occhialuto e stupido che si fruga in tasca e intano sbircia da dietro le spalle dell'artista.


Pieter Bruegel il Vecchio. Il pittore e l'acquirente. 1565

Il genere che Bruegel scelse fu quello delle scene contadine. Dipinse contadini in festa, nei banchetti e al lavoro, tantoo che a poco a poco lo si considerò un contadino fiammingo. Il suo atteggiamento vero la rustica vita di villaggio ha probabilmente molti punti in comune con quello di Shakespeare, per il quale Quince il legnaiolo e Bottom il tessitore sono press'a poco "buffoni". 
Era abitudine dell'epoca considerare il villano come una figura spassosa: nella vita rustica la natura umana era meno camuffata e coperta della maschera dell'artificio e della convenzionalità che non nella vita dei signori dipinti da Hilliard, così, volendo rappresentare la follia umana, essi sceglievano spesso i loro modelli tra i ceti più bassi.


Pieter Bruegel il Vecchio. Nozze contadine. 1568

Una delle più riuscite commedie umane di Bruegel sono le famose Nozze contadine. Esso perde molto nella riproduzione: tutti i particolari si rimpiccioliscono assai, per tanto lo si deve osservare con raddoppiata attenzione. La festa si svolge in una stalla, in alto, sullo sfondo, paglia accumulata. La sposa ha sul capo una specie di corona e, dietro di lei, pende dalla parete un panno azzurro, Siede in posa tranquilla, a mani conserte, con un sorriso soddisfatto sul volto idiota.


Il vecchio sulla sedia e la donna che le è vicina sono probabilmente i genitori, mentre l'uomo più discosto, così indaffarato a ingozzarsi di cibo con il cucchiaio, dev'essere lo sposo. La maggior parte dei commensali bada a mangiare e a bere; si capisce che questo è solo l'inizio. Nell'angolo sinistro un uomo sta versando la birra mentre due uomini in grembiule bianco portano altri due piatti colmi  di cibo su un vassoio improvvisato. Uno degli ospiti passa i piatti ai commensali. C'è una folla nello sfondo che cerca di entrare, ci sono i musicanti, uno dei quali fissa il cubo che gli sfila accanto con occhi patetici, umili e affamti. All'angolo del tavolo vi sono due persone estranee alla compagnia, il frate e il magistrato, immersi nella loro conversazione; in primo piano c'è un bambino che, impadronitosi di un piatto e di un berretto piumato troppo grande per laa sua piccola testa, è tutto intento a gustare qualche leccornia: un quadro di ghiottoneria innocente. La disposizione grazie alla quale il dipinto non appare per nulla affollato e confuso. La tavola sfuggente verso lo sfondo e le figure in continuo movimento, dalla folla che preme all'entrata nel granaio fino al primo piaano e alla scena dei portatori di vivande, attraverso il gesto dell'uomo che, distribuendo i piatti in tavola, avvia il nostro sguardo verso la figurina centrale della sposa sorridemte. 
Con queste vivaci e solo apparentemente semplici opere Bruegel ha aperto un nuovo campo all'arte, e le generazioni successive non mancheranno nei Paesi Bassi, di essplorarlo a fondo. 
La Francia, situata tra l'Italia e i Paesi nordici, veniva influenzata da entrambi. La robusta tradizione dell'arte medievale francese fu dapprima minacciata dall'ondata della moda italiana, che i pittori francesi trovarono difficile da adottare almeno quanto i loro ccolleghi dei Paesi Bassi. La forma in cui venne finalmente accettata l'arte italiana nnell'alta società fu quella dei grandi e raffinati manieristi del genere di Cellini. Ne scorgiamo l'influsso nei vivaci rilievi di una fontana, opera dello scultore frncese Jean Goujon (morto nel 1566). C'è qualcosa dell'eleganza meticolosa del Permigianino e insieme del virtuosismo di Giambologna nella grazia squisita di queste figure e nel modo in cui sono inserite nelle sottili strisce che le delimitano.


Jean Goujon. Ninfe, particolare della Fontana degli Innocenti. 1547-1549


Jacques Callot. Due maschere italiane. 1622


Una generazione più tardi, sorse in Francia un artista nelle cui acquqforti le bizarre fantasie ddei manieristi italiani si fondevano con lo spirito di Pieter Bruegel: il lorenese Jacques Callot (1592-1635). Egli amava le combianzioni più sorprendenti di figure smilze e alte e di vasti e insoliti scenari, ma come Bruegel adoperava tali espedienti per rappresentare le follie dell'umanità attraverso scene di reietti, soldati, sciancati, mendicanti e sonatori ambulanti. Nel tempo in cui le incisioni di Callot rendevano popolari ttali stravaganze, la maggior parte dei pittori rivolgeva la propria attenzione ei nuovi problemi discussi negli studi di Roma, Anversa e Madrid.

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