lunedì 27 febbraio 2017

Francisco de Goya Y Lucientes, Fucilazione del 3 maggio 1808

Francisco de Goya Y Lucientes, Fucilazione del 3 maggio 1808


Fucilazione del 3 maggio 1808



Goya e la storia contemporanea

La pittura incentrata sulla sotria contemporanea, Goya ne dà una sua interpretazione in un dipinto come questo, la Fucilazione del 3 maggio 1808, si vedono alcuni rivoltosi contro l'occupazione francese mentre un plotone di esecuzione li sta fucilando.
Il pittore, contrappone, sullo sfondo del paese di cui una luce ancora notturna permette di vedere le prime case, i due gruppi: quello anonimo dei soldati, visti di spalle, e quello dei ribelli, indagati nell'atteggiamento e nell'espressione dei visi. 
Una vasta gamma di sentimenti viene registrata, dalla paura alla disperazione, fino all'accettazione del martirio, dall'uomo che vividamente illuminato all'enorme lampada posata a terra, spalanca le braccia in un gesto di crocifissione.
La sua camicia bianca, diventa simbolo della puurezza del martire.

Un pessimiso totale


Asmodea 1820 1821


La lattaia di Bordeaux 1827



Qui sembra che nessuna superiore ragione etica giustifichila morte e l'orrore che si manifesta anche nell'immagine dei ribelli stesi a terra, già giustiziati.
Il destino che per un momento accomuna vittime e carnefici è terribile e assurdo.
Le “pitture nere”, così chiamate per le predominanti tonalità cupe, sono quattordici visioni allucinate. Nella scena con Saturno che divora il figlio, il pittore si concentra sui pochi elementi facendo emergere dal fondo scuro la figura mostruosa, trattata con toni grigiastri sui quali risulta il rosso – sangue del corpo dilaniato del figlio.
E' un'opera che si direbbe anticipare l'Espressionismo.
Nel 1824 Goya, abbandonata la Spagna, trascorse gli ultimi suoi anni in Francia, risentendo di quella cultura. La lattaia di Bordeaux dipinta dall'artista più che ottantenne è quasi un anticipo della pittura impressionista.

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domenica 26 febbraio 2017

Francisco de Goya Y Lucientes

Francisco de Goya Y Lucientes


Maya vestida, 1799


Maya desnuda, 1799


L'aquilone, 1777



Nella Spagna del XVIII secolo l'illuminismo esercitò la sua influenza, determinando il riformismo di un sovrano come Carlo III (1759-1788), appoggiato da intellettuali progressisti come il poeta e giurista J.A. Mèlendez Valdés e il filosofo G.M. De Savellanos, amici di Goya. Di questo clima risentì anche il grande pittore spagnolo, che sempre volle combattere contro l'oscurantismo e la superstizione, anche se col tempo accentuò il suo pessimismo e la sua sfiducia nella possibilità di cambiare le cose.
174617Francisco de Goya Y Lucientes, nato nel 1746 a Fundetodos, un povero borgo dell'Aragona, esordì nel solco della tradizione, Cartoni per arazzi, che egli fornì dal 1744 alla manifattura reale. 
Tali opere rappresentano scene di genere, usanze popolari e giochi campestri, si inseriscono nell'ambito di una pittura decorativa di gusto rococò, anche se progressivamente si caratterizzano per il maggiore cromatismo e per l'accentuazione dello spirito indagatore.
Tra il 1792 e il 1793, in coincidenza con una misteriosa malattia, che avrebbe portato l'artista a totale sordità e che ne accentuò l'isolamento, oltre che la componente meditativa. 
Non mancarono opere di più serena contemplazione, come le due versioni della Maya che Goya dipinse allo scadere del Settecento. La modella, non identificata, appare ritratta nella medesima posa provocante: desnuda e vestida.

L'influenza dell'illuminismo


La famiglia di Carlo IV. 1800 - 1801


3 maggio 1808. 1814


Divenne sempre più stretto il legame tra l'artista e il nuovo clima culturale suggestionato dall'Illuminismo come si vede nell'opera che inaugurò il nuovo secolo, La Famiglia di Carlo IV, in cui alla luce, che è l'elemento unificante del dipinto viene assegnato il duplice compito di sottolineare il lusso degli abiti e il brillio dei gioielli e delle decorazioni, e di far risaltare la bruttezza, la follia e la presunzione degli illustri effigiati.
Deriva dalle Mèninas di Velàzquez, Goya si colloca dietro au suoi modelli, in un punto da dove non sarebbe possibile riprenderli. Il pittore con la sua analisi, di inedita spietatezza, prenda le distanze dalla casa regnante, e sembra che egli aderisca  al nuovo regime quando tra il 1808 e il 1814, la Spagna cade sotto  il dominio napoleonico. L'atteggiamento del maestro spagnolo di fronte alla politica non mancò di ambiguità. Nel 1814, mentre il sovrano legittimo, Ferdinando VII, si apprestava a rientrare in patria, Goya, forse per ingraziarselo, dipinse due episodi della resistenza madrilena contro i francesi: il 2 maggio 1808, e il 3 maggio 1808.

La fine delle speranze riformiste


Saturno 1819 - 1823


Ferdinando VII abolì la Costituzione, ristabilì l'Inquisizione, richiamò i Gesuiti. Goya perse ogni illusione nelle possibilità della regione e dipinse tra il 1819 e il 1923 le pareti di una sua casa di campagna, la cosiddetta Quinta del Sordo, nei pressi di Madrid.

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venerdì 24 febbraio 2017

Napoleone nell'arte neoclassica: L'icona del tempo

Napoleone nell'arte neoclassica: L'icona del tempo.

Napoleone conobbe un'ascesa così impressionante e imprevedibile da divenire in breve tempo da generale rivoluzionario primo console e poi imperatore (1804) e conquistatore di mezza Europa: il materiale iconografico che lo riguarda, atto a svolgere un'ovvia funzione propagandistica e apologetica e a rafforzare il consenso attorno a una personalità dai tratti sempre fortemente carismatici. L'evoluzione dell'iconografia napoleonica si accompagna in particolare al passaggio dell'immagine rivoluzionaria, a una sempre più efficace e regale, propriamente imperiale.



Napoleone al Gran San Bernardo. 1800

L'immagine del soldato

All'inizio la celebrazione del condottiero, con le sue virtù militari che ne fanno un eroe, collocato in una dimensione lontana dalla contingenza, in una superiorità atemporale. David “Napoleone al passo del Gran San Berbardo” (1800, Parigi, Malmaison) Bonaparte è visto avvolto da un turgido mantello e in sella a un focoso destriero.

L'uomo di stato


Napoleone Primo Console. 1800


Napoleone nel suo studio. 1812



Andrea Appiani con Napoleone Primo Console dipinto nel 1803 (Bellagio, Villa Melzi), fa emergere dall'atteggiamento e dallo sguardo tutta la dignità e la forza interiore del soggetto. Appiani, stabilì un rapporto privilegiato con Napoleone, che lo nominò primo pittore del re d'Italia (1805) e gli conferì ambiti riconoscimenti. L'imperatore inaugurò nel 1807 i Fasti di Napoleone che Appiani aveva dipinto nel Palazzo reale di Milano. Ritroviamo Appiani in sicera sintonia anche con la fase più impriale della stagione napoleonica quando nel 1808, dipinge ad afffresco l'Apoteosi di Napoleone nel Palazzo Reale di Milano presentandolo nudo, in trono come Giove Olimpico.

L'eroe divinizzato


Napoleone I sul trono imperiale


Napoleone come Marte Pacifcatore. 1806



Canova aveva scolpito tra il 1803 e il 1806 Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore: anncora un nudo eroico in cui all'imperatore viene attribuito il corpo perfetto di un dio greco, secondo le stesse modalità con cui gli antichi Romani avevano rappresentato Augusto divinizzato. Qualche anno dopo Thorvaldsen, in collaborazione con Vilhelm Bissen, avrebbe fornito una medesima idealizzazione con il marmo dell'Apoteosi di Napoleone (1820 circa, Copenaghen, Museoo Thorvaldsen), versione aggiornata del rilievo romano con il trionfo dell'imperatore Claudio. 
David “Napoleone nel suo studio” (1812, Washinghton, National Gallery of Art), che ci mostra l'imperatore nella tranquillità fervida del suo studio, in un'ora notturna le candele che si sono quasi completamente consumate per la veglia e con nei pressi un simbolo pregnante come un libro di Plutarco e le carte relative al Codice Civile. 
In Napoleone I sul trono imperiale che Ingres dipinse nel 1806 (Parigi, Musèe del l'Armée), in cui il sovrano è dipinto in una posa ieratica, con lo scettro di Carlo V la “mano di giustizia” e la spada supposti di Carlo Magno, sotto una luce fredda cui spetta il compito di dare unità all'insieme.

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La nuova società nei ritratti di Ingres

La nuova società nei ritratti di Ingres

La Bagnante di Valpinçon o La Grande odalisca (1814 Parigi, Museo del Louvre), i cui schemi vennero ripresi fino agli anni tardi (Bagno turco, Louvre), Ingres ottenne grandi risultati nei numerosi ritratti. 


Ritratti di Philibert Rivière. 1805


Marie - Françoise Beaugerard Rivière. 1805


Ritratto di Mademoiselle Rivière. 1805



In Monsieur e Madame Rivière il pittore espresse la raffinata eleganza dello Stile impero; nel ritratto di Mademoiselle Rivière riuscì a rendere l'innocenza trepida e un po' spaurita della figura inserendola felicemente nel paesaggio.


Madame Senonnes 1814

In Madame Senonnes (1814-1816) esaltò l'mmagine della bella signora, portando in avanti l'ovale perfetto del viso a contrasto con il fondo chiuso e con le note spente del riflesso nello specchio. E' proprio lo specchio a diventare un elemento fondamentale nella costruzione del ritratto, determinando una dilatazione vaga dell'immagine e proiettandola in una dimensione sfumata, tendenzialmente onirica.
Le licenze o le curiose distorsioni che Ingres si concede, l'ovale troppo perfetto del volto o l'allungamento immateriale del braccio destronche viene ad avvolgere tutta la figura, con la conseguenza di un certo straniamento, che non è eccessivo grazie al realismo estremo dei particolari.


Ritratto di Louis-François Bertin. 1832

Monosieur Bertin (1832, Parigi, Museo del Louvre), ritratto di un ricco uomo d'affari, che già lo scrittore Gautier considerava simbolo di un'epoca. Oltre a definire il volto, il pittore si concentra sui particolari, dalla verruca presso l'occhio destro all'orologio del taschino.
La luce colpisce il modello da sinistra, secondo una procedura prediletta da Ingres, che annotava: “Nei ritratti, molto fondo sopra le teste: e che sia illuminato da una parte, nell'ombra dall'altra”.
 L'ambiente è occupato integralmente, dalla figura massiccia dell'uomo, il quale garda verso di noi in una posa da taglio fotografico. Sembra quasi che la possenza fisica del modello rimandi all'autorità e al peso sociale del personaggio. 
Quasi tutta la figura, è relegata nella metà inferiore della tela, mentre il fondo è indistinto privo di particolari concorre ad accentuare l'imponenza di Monsieur Bertin

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Jean - Auguste - Dominique Ingres

Oltre il Neoclassicismo: l'adorazione per la forma


La bagnante di Valpinçon. 1808


La Sorgente. 1856



Nel 1792 Jean – Auguste – Dominique Ingres (1780 – 1867), si distinse per una determinazione nel lavoro che lo isolava dai compagni. Formatosi così in ambito Neoclassico, mostrò orientamenti diversi da quelli del maestro J. L. David, risentendo non solo della lezione degli antichi, ma ancora di più dei Quattrocentisti italiani e poi a Raffaello, da dove derivò l'aspirazione a un bello naturale e l'adorazione per la “bella forma”.
Nel 1806 giunse a Roma, per il pensionato del Prix de Rome, rimanendovi fino al 1820, dal 1820 al 1824 soggiornò a Firenze, dove era stato invitato dallo scultore neoclassico Lorenzo Bartolini, e nel 1835 tornò a Roma, per assumere la direzione (fino al 1841) di Villa de Medici.
Per lui l'arte ha in se stessa le ragioni della sua esistenza, quindi l'importanza del soggetto si svaluta a favore della perfezionde dell'immagine. 
Nella Bagnante di Valpinçon (1808), l'artista dipinge semplicemente un  nudo di donna visto di spalle. Gli interessa raggiungere un esito di assoluta estrazione formale, in cui il realismo si sottometta alla sintesi fra andamento delle figure e colore – luce, con un effetto di una nitidezza quasi iperrealistica, non senza agganci con la pittura del Cinquecento fiorentino.

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mercoledì 22 febbraio 2017

Andrea Appiani

Andrea Appiani

Il cantore italiano di Napoleone


Ingresso dei Francesi a Milano il 15 maggio 1796. 1803


A Monza, nella Roronda che si trova nell'ala sinistra della Villa Reale, il pittore Andrea Appiani (1754 – 1817), dipingendo nel 1789 la storia di Amore e Psiche, soffusa di luce e capace di coniugare prospettive classicistiche e grafia lombarda.
Dopo l'arrivo dei Francesi a Milano, il pittore, giovandosi di un personale rapporto di amicizia con Napoleone, ottenne importanti incarichi ufficiali dalla Repubblica Cisalpina. Allestì apparati decorativi per le feste repubblicane, a inventare allegorie per le medaglie repubblicane, a ritrarre Napoleone e i principali esponenti della nuova classe dirigente.
Nei Ritratti di Napoleone si registra l'adeguarsi della pittura ai passaggi della storia, dalla fase repubblicana a quella imperiale, nell'Apoteosi di Napoleone affrescata nel 1808 nel Palazzo Reale di Milano (l'opera, danneggiata nel 1943, è ora a Villa Carlotta, a Tramezzo di Como).

Realismo e allegoria nei Fasti di Napoleone


Apollo e Dafne. 1800


Il Parnaso. 1812



I Fasti di Napoleone, un ininterrotto nastro monocromo su tela realizato tra il 1803 e il 1807 per la Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, in cui gli elementi realistici diretti convivono con la tendenza alla propensione allegorica. 
Venne distrutto durante i bombardamenti del 1943, le trentasei incursioni che ne furono tratte tra il 1807 e il 1816, le quali ci consentono di ammirare un precoce esempio italiano dell'interazione tra pittura e storia contemporanea, su un piano di continui richiami a modelli illustri, dai Trionfi di Cesare di Mantegna ai rilievi della Colonna Traiana.
Appiani abbandona i riferimenti alla tradizione lombarda per accostarsi, maggiormente a un'impostazione romana, evidente non tanto nell'affresco dipinto per Casa Sannazaro a Milano con Apollo e Dafne, quanto nell'affresco col Parnaso dipinto nel 1812 nella Villa Reale di Milano per conto del viceré Eugenio di Beauharnais.

Oltre il classicismo: la ritrattistica


Anna Maria Porro Lambertenghi Serbelloni. 1811 - 1813


Appiani ottenne il favore della committenza privata. Appiani rivela un'acuta capacità di indagine sociale e psicologica e anche una cordiale partecipazione umana quando coglie la fisionomia de protagonisti della cultura e della politica del tempo: Parini, Canova, Bodoni, i grandi esponenti di famiglie aristocratiche come i Serbelloni, i Melzi, i Belgioioso, o generali di spicco dell'esercito napoleonico come Desaix e Bertier.
Nella ritrattistica femminile, si manifestava una poesia discreta e profonda. Tale lagame è confermato dai delicati incarichi che gli vennero conferiti: in collaborazione con Giuseppe Bossi, la riorganizzazione dell'Accademia di Brera a Milano e la costituzione della Pinacoteca.

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Bertel Thorvaldsen

Bertel Thorvaldsen

La lontananza delle passioni


Giasone. 1802 - 1827


Bertel Thorvaldsen (1770 – 1844), nato e morto a Copenaghen, ma vissuto a Roma (dove era arrivato nel 1797).
Per Thorvaldsen gli inizi non furono facili, tanto che egli stava per rientrare in patria quando nel 1802 modellò il Giasone (riprodotto in marmo solo nel 1827) che gli avrebbe dato la notorietà. Ispirandosi all'antico, ed in particolare ai canoni di Policleto, ci dà dell'eroe una versione esangue, quasi astratta ad ogni passione e ad ogni movimento. Nel caso del Giasone, non cogliamo nessun segnale di fatiica o di tensione, e l'eroe ci viene incontro a passi leggeri, apparizione che si direbbe confacente a quell'ideale di bellezza sostenuto da Winckelmann.

Dall'eroismo alla grazia


Ganimede dà da bere all'aquila di Giove. 1817


A Thorvaldsen, si pensò quando, arrivando Napoleone nel 1812 a Roma, si vollero rinnovare le decorazioni delle Sale del Quirinale. Egli eseguì il Fregio di Alessandro, una fascia a stucco lunga oltre trenta metri, in uno dei saloni delle feste: il soggetto era l'ingresso di Alessandro Magno, allusivo l'arrivo di Napoleone a Roma. 
Con lo scultore danese si concludeva così la parabola del Neoclassicismo. Anche messo di fronte agli dèi dell'Olimpo. Thorvaldsen, per le sue sculture, quelli meno folgoranti e invece più intimi, seducenti, familiari e fin troppo aggraziati come le Muse, le Grazie, Ganimede che da da bere all'aquila. 

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Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788 - 1793

Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788 – 1793



La storia

Una delle prove a cui viene sottoposta Psiche, consiste in un viaggio nell'Ade dove Prosperina le consegna un vasetto da tenere chiuso. La fanciulla, spinta dalla curiosità, lo apre e cade svenuta impietosendo Amore o (Cupido) che si reca da lei, la ridesta pungendola con una delle sue saette e la bacia teneramente.
Canova, rappresenta il momento in cui Amore si appresta a baciare la fanciulla, sfiorando con sottile erotismo il suo corpo ed immergendo lo sguardo negli occhi di lei. L'idea compositiva venne all'artista, da un dipinto di Ercolano con Fauno e Baccante, già utilizzato da Canova anche per un'opera precedentem il gruppo con Adone compianto da Venere.




La struttura

Il grupppo è fondato su una serie di geometrie compositive, che si colgono esclusivamente attraverso la visione frontale. L'arco formato  dal corpo di Psiche e un' ala del dio si interseca con quello formato dalla gamba destra di Cupido e dall'altra sua ala, e due cerchi intrecciati, seguendo il movimento delle braccia dei due amanti, segnano il centro della composizione, la quale per altro può essere vista, da un altro punto di osservazione, come una sorta di X resa dalle ali e dalla gamba destra di Cupido e dal corpo di Psiche. 
Come si vede, il gioco delle corrispondenze consente diverse possibili letture, dove si colgono nuovi punti di vista, sorprendenti morbidezze e finezze.



Il significato iconografico e simbolico

Il gruppo di Amore e Psiche, è una celebrazione dell'amore, non certo della passione sfrenata dei sensi, perchè le due creature si sfiorano appena e sembrano dedite esclusivamente alla reciproca contemplazione.
Ma questa rappresentazione idilliaca della giovinezza, celebrata nella sua trasparente innocenza, è a livello più profondo, un simbolo dell'amore – morte, di quel legame misterioso tra Eros e Thanatos, per cui nella confidenza totale dell'abbraccio è dato presentire l'annullamento finale.

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sabato 18 febbraio 2017

Antonio Canova

Antonio Canova

La scultura neoclassica: “una pacata grandiosità”


Dedalo e Icaro 1777 - 1779


Teseo e il Minotauro 1781 - 1783


Monumento funerario di Clemente XIV




Di statura europea Antonio Canova, capace di superare la sua epoca e i confini della sua terra. Collaborò nello stesso tempo, con Napoleone e con il governo ponificio, di cui era ospite.
Nato a Possagno (Treviso) nel 1757, Canova ricevette una prima formazione ad Asolo, presso lo scultore Giuseppe Bernardi, e a Venezia, dove frequentò i corsi di nudo all'Accademia, ed ebbe un primo incontro con l'antico grazie alla vasta collezione di calchi in gesso dell'abate Filippo Farsetti.
Dedalo e Icaro (1777 – 1779), denunciano anche i legami con la scultura barocca, forse avvicinata in copia presso la collezione dell'abate veneziano. 
Dal 1779 quando Canova si Trasferì a Roma, entrando presto in rapporto con gli artisti veneti là diimoranti (tra gli altri, gli architetti Giovanni Antonio Selva e Giacomo Quarenghi) e con esponenti di punta della cultura neoclassica. 
Nel gruppo Teseo e il Minotauro, si ha una più precisa riflessione sulla classicità, 1781 – 1783. Nell'eroe greco, rappresentato seduto sul mostro che ha appena ucciso, è simboleggiata la vittoria della ragione sulla bestialità, sulle forze dell'irrazionalità
Il corpo semidivino è perfetto, rispondente agli ideali che erano stati espressi da Winckelmann. Sul volto, chiaramente modellato sulla statuaria antica, non trappela la furia della lotta ma solo la tranquillità, non priva di fierezza, di chi ha ottenuto una difficile ma inevitabile vittoria.
Canova aveva scelto la via dell'arte come valore autonomo, come supremo equilibrio di bellezza e di proporzione, come unico ideale, da difendere contro ogni tentativo di ingerenza, in particolare in un periodo storico così tumultuoso.

I monumenti papali: la morte come sonno


Monumento funerario di Clemente XIII 1787 - 1792


Ormai affermatosi Canova ricevette importanti commissioni, a partire da quella, nel 1783, per la Tomba di Clemente XIV per la Chiesa dei Santi Apostoli. Il modello, il monumento funebre berniniano, è superato, perché all'animazione barocca si sostituisce una partizione rigorosa degli elementi è perché sono esclusi gli effetti, pittoreschi di marmi policromi e il tumulto dei panneggi.
Il Monumento a Clemente XIII in San Pietro (1787 – 1792), per il quale Canova approfondisce il tema tipicamente neoclassico, della morte come sonno, sulla base di una grandiosità e di una “calma” che caratterizzano ogni elemento dell'opera: il papa inginocchiato in preghiera la figura della Fede, l'adolescente con la torcia rovesciata. Una severità, convive con la leggerezza che si esprime nel languore dell'adolescente incaricato di raappresentare la morte. 
Soavità e leggerezza costituiscono un altro polo della poetica canoviana, Amore e Psiche, del 1778-1793, i due amanti si abbracciano secondo un'insistita ricerca di contrappunti armonici, morbidi e privi di tensione.

L'artista ufficiale


Paolina Borghese Bonaparte. Venere vincitrice 1808


Venere Italica. 1804 - 1812


Monumento funerario per la duchessa Maria Cristina di Sassonia - Teschen 1798 - 1805


Le tre Graziie 1815 - 1817


Tempio Canovano 1819 - 1833


Canova lavorò parecchio per Napoleone e la sua corte, realizzando ritratti come quello del Primo Console Bonaparte o quello di Paolina Borghese (1808), viene raffigurata come Venere vincitrice, in un'inedita sintesi di riferimenti alla pittura giorgionesca o tizianesca e alle figure giacenti in certi sarcofagi etruschi.
Nei medesimi anni, lo scultore italiano, grazie all'indiscusso prestigio che aveva conseguito, poteva lavorare, anche per la corte asburgica, che gli commissionò il Monumento funerario di Maria Cristina di Sassonia – Teschen (1798 – 1805) per la Chiesa degli Agostiniani di Vienna.
Canova affronta il tema del sepolcro, offendone una diversa interpretazione con un richiamo alla forma piiù elementare e antica del documento funebre, la piramide verso la cui porta si snoda un mesto corteo costiutuito dalla Pietà, che reca l'urna con le ceneri della defunta, seguita da un gruppo di figure che rappresentano la Beneficenza.
Al lato opposto della piramide sta il Genio del Dolore (un adolescente che ricorda quello del monumento a Clemente XIII), appoggiato al leone della Fortezza, mentre sopra la porta il ritratto di Maria Cristina, incorniciato da un serpente che si morde la coda, emblema dell'immortalità, e sorretto dalla figura della Felicità.
La visione classica e quella cristiana della morte si fondono: da una parte il corteo funebre ricorda la virtù romana della Pietas, dall'altra la porta alla quale si dirigono i ploranti allude al mistero della morte, aalla vita definitiva verso cui tendono i cristiani.
Il momento del trapasso non coincide con la speranza ultraterrena, bensì, come il Foscolo dei Sepolcri, rappresenta un passaggio che, comunque interppretato a seconda delle varie mentalità e delle varie fedi, suscita infinita tristezza e nostalgia per la luce, la sola fervida consolazione della “corrispondeza di armoniosi sensi”.
La duplice funzione del sepolcro – la possibilità di un legame duratur tra i defunti e i rimasti e lo stimolo a “egregie cose”, nel caso delle tombe dei grandi uomini – venne ripetutamente espressa dal Canova all'inizio dell'Ottocento nei Monumenti a due cari amici come Giovanni Falier (1806 – 1808, nella Chiesa di Santo Stefano a Venezia) e Giovanni Volpato (1807 – 1808, nella chiesa dei Santi Apostoli a Roma), e in tombe monumentali come quella per l'Alfieri in Santa Croce a Firenze (1806 – 1810).
Questo bisogno di sottrarsi all'azione devastatrice del tempo com la celebrazionedei valori dell'arte, evidente anche nel gruppo delle Grazie, spiega l'importanza che assume, nella prospettiva canoviana, la costruzione di un Tempio nel suo paese natale, Possagno, eretto tra il 1819 e il 1833, in collaborazionecon Giovanni Antonio Selva. Un tempio cristiano dedicato alla Trinità, ma al tempo stesso di un sepolcro – sacrario dove nel 1830, vennero traslate le spoglie del Canova. Combina la struttura con una cupola tipica dell'antichità romana (il Pantheon) non il tempio a colonne di origine greca (il Partenone).

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J.L. David. L'incoronazione di Napoleone 1805 - 1807

Jeacques – Louis David

J.L. David. Incoronazione di Napoleone 1805 – 1807




Una data storica

Fu Napoleone ad affidare a David il compito di tramandare ai posteri la scena capitale della sua incoronazione, avvenuta in Notre – Dame di Paris il 2 dicembre 1804. Realizzando un gran numero di studi perparatori e poi ricostruendo il momento saliente della cerimonia in un'immensa tela (sei metri per nove) in cui sono fedelmente documentati, più di duecento personaggi presenti all'evento.

Un progetto politico

David passò a una concezione dell'arte come propaganda, in relazione al progetto politico e alla personalità di Napoleone. David come aveva sostenuto la causa della rivoluzione, così ora vedeva in Napoleone la persona in grado di trasferirne certi principi in una dimensione più vasta, sul piano europeo e in un clima politico fortemente mutato.

Il fascino delle cerimonie

Nel dipinto dell'incoronazione la partecipazione emotiva si attenua in qualche modo, sopraffatta dalla solennità dell'evento e dalla volontà documentaria. Una versione moderna di una tipologia pittorica che ha i suoi precedenti, già a partire dal Cinquecento, in tutti i quadri celebrativi dedicati ai fasti della monarchia o della Chiesa, riguardante le cerimonie come le incoronazioni, le visite illustri, le nomine cradinalizie e così via.
Le scelte linguistiche: il rapporto ben bilanciato tra la scena principale e lo sfondo, la cura estrema anche dei particolari per accrescere alla verosimiglianza, l'inserimento di figure, (i personaggi in piedi sulla destra, visti di spalle) nel compito di rendere possibile una sorta di identificazione con gli spettatori e il sentimento di ineluttabilità sacrale che si ricava dalla solennità reggelata dei gesti.David, pur essendo così partecipe della solennità dell'evento, riesce col suo grande quadro a far emergere i caratteri individuali, dando vita a una stupenda galleria di ritratti.

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J.L. David. La morte di Marat

Jeacques – Louis David

La morte di Marat 1793


La morte di Marat. 1793


Tra i protagonisti della rivoluzione francese, Jean – Paul Marat appariva uno dei più puri. Il suo assassinio, nel 1793, per mano di una aristocratica girondina, suscitò una profonda emozione, che David volle tradurre subito in un dipinto completato tre mesi dopo il delitto e offerto alla Convenzione. 
Che David provasse una sincera ammirazione per l'uomo politico assassinato è provato dalla dedica così asciutta ( 'A Marat, David' ), ma partecipata, apposta alla base dell'umile cassa su cui la vittima teneva gli oggetti necessari per la scrittura. La povertà in cui viveva Marat, dalla quale dipende la severità dell'ambiente in cui si conclude la sua vita, una stana dalle pareti nude, assolutamente prive di qualsiasi orpello. Ma la semplicità è anche quella del pittore che intende eliminare qualunque elemento accessorio, qualunque particolare poco significativo per concentrarsi sull'essenziale, rappresentando il dramma non nel suo momento culminante, ma immediatamente dopo, con una distanza che qua rende possibile il commento, la riflessione, l'insegnamento morale. Marat ci appare come un martire della Rivoluzione, impegnato fino all'ultimo a beneficare un cittadinom proteso al bene comune nonostante le personali sofferenze per una malattia della pelle che lo costringevano a passare grna tempo dietro una vasca per lenire il dolore. 


Caravaggio. La desposizione di Cristo

L'idea del martirio evocava immediatamente, per un pittore di formazione classicistica come David, modelli figuraivi eminenti, tratti dall'inconografia cristiana, e non a caso l'abbandono del corpo di Marat è lo stesso che Caravaggio aveva impresso al suo Cristo deposto. La testa reclinata è il centro della composizione, a sottolineare la pesantezza e la frugalità della condizione di morte.

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mercoledì 15 febbraio 2017

Jacques - Louis David

Jeacques – Louis David

La pittura come stimolo alle virtù patriottiche


Belisario che riceve l'elemosina. 1781

Dopo una foormazione compiuta in ambito tradizionale, Jacques – Louis David (1748 – 1825) ottiene l'ambitissimo Prix de Rome che gli permise nel 1775, di raggiungere l'Italia. Il quinquennale sooggiorno romano fu per lui un periodo, ricco di esperienze fondamentali, come la scoperta dell'arte italiana (non solo l'antico ma anche Michelangelo, Raffaello, Caravaggio) e, verosimilmente, la conoscenza degli scritti di Winckelmann, Mengs e di altri teorici del Neoclassicismo.
In occasione di un viaggio a Napoli del 1779, che lo indusse a liberarsi delle esperienze precedenti per guardare agli antichi con gli occhi di Raffaello, come esempio di stile e di grandezza umanistica. Vi è Belisario che riceve l'elemosina (1788), in cui emergono elementi autenticamente nuovi come l'immaginazione fondata su un rigoriso incrocio di verticali e di orizzontali e la focalizzazione sugli aspetti essenziali per una chiara comprensione dell'immagine. I rari acessori, l'iscrizione, l'elmo rovesciato a indicare la disfatta, si caricano di una muta eloquenza. Rievocando la vicenda del generale bizantino Belisario in disgrazia, vecchio, cieco, riconosciuto da un soldato che aveva militato ai suoi ordini proprio mentre riceve l'elemosina da una passante, propone un messaggio morale, una meditazione sulla caducità della forza da mantenere anche nelle avversità.

Il giuramento degli orazi:
la pittura come insegnamento morale


Il giuramento degli Orazi. 1784 - 1785


Su questa via, si pone anche il Giuramento degli Orazi (1784 – 1785), David realizza una sintesi di forma e contenuto.
Per quest'opera l'artista volle trasferirsi a Roma, dove la espose per breve tempo nel suo studio, nell'agosto del 1785, con grande successo di pubblico, prima di trasferirla a Parigi. Il soggetto deriva dallo storico latino Tito Livio e dal tragediografo francese Pierre Corneille, ma David scelse un momento che non trova riscontro nelle fonti, quando i tre giovani romani giurano i combattere fino alla morte sulle tre spade che il padre sorregge davanti a loro. L'azione si svolge in un ambiente spoglio, di geometrica concisione, sullo sfondo di tre grandi arcate. I personaggi sono allineati in primo piano e come incatenati: i tre giovani, il padre, le donne di casa piangenti, contrapposte alla volontà indomita delle figure maschili. Il Giuramento sembra incarnare quegli ideali di coraggio e di determinazione che di lì a poco avrebbero animato molti tra i protagonisti della Rivoluzione francese.
Nel 1789, il dipinto “I littori portano a Bruto le salme dei figli” (1789, Parigi, Museo del Louvre) venne salutato come un simbolo repubblicano, emblema di un'età intransigente e sublime: Bruto vi è infatti colto nella sua solitaria meditazione, dopo aver fatto decapitare i figli, colpevoli di tradimento. 

L'arte al servizio della Rivoluzione


Le Sabine. 1799


L'opera di David è il principale riferimento nella formazione di un'estetica repubblicana protesa all'esaltazione di valori quali la libertà, l'uguaglianza, il predominio ei diritti collettivi su quelli individuali: l'artista fu deputato alla Convenzione e votò la morte del re, fece parte del Comitato di salute pubblica, riformò l'insegnamento e le istituzioni artistiche dopo la soppressione dell'Accademia si occupò di musei, dei teatri, dell'urbanistica, organizzò le feste le cerimonie della rivoluzione e ne celebrò i martiri come Marat (1793) e Joseph Bara (1794). 
La morte di Marat (1793), David crea una sorta di Pietà laica in cui tutto, dai particolari realistici alla scelta di un determinato tipo di illuminazione di ascendenza caravaggesca. Fa risaltare il volto di Marat avvolto nel turbante, santificato dal sacrificio ( e non deve essere casuale la citazione quasi letterale del braccio abbandonato come quello del Cristo nella Deposizione di Caravaggio).
David finì in carcere e cominciò a dipingere una serie di ritratti di inonazione aggraziata e sentimentale, quasi per reagire a chi gli rimproverava un'eccessiva asprezza. Il pittore risentiva del mutato clima politico, e anche quando come Le Sabine (1799), proponendo l'immagine delle donne e dei bambini che si interpongono tra i loro uomini e i Romani, esprime un pesante invito alla riconciliazione nazionale.

Pittore ufficiale di Napoleone

Con Napoleone, David poté offrire un contributo di primo piano alla divulgazioene dell'immagine eroica del Primo Console prima e dell'imperatore poi. Bonaparte al Gran San Bernardo (1800), dove il condottiero valica le Alpi con le sue truppe, in un atteggiamento fortemente idealizzato di sapore romantico.
L'Incoronazione di Napoleone (1805 – 1809), una tela di estese dimensioni che celebra, con grande solennità e precisa attenzione al dettaglio, la consacrazione di Napoleone a Imperatore avvenuta nella Chiesa di Notre Dame a Parigi nel 1804.
Con la Restaurazione, David andò in volontario esilio a Bruxelles, dove rimane fino alla morte, dipingendo ancora ritratti e quadri mitologici fondati sui sentimenti teneri e delicati in cui viene proposta una nuova visione, sconcertante e insieme realistica dell'Antichità.
Marte disarmato da Venere e le Grazie, ultima grande opera di David, in cui si celebra il potere rasserenante dell'amore che trionfa sullo spirito guerresco.
Il passato dei miti diventa così un mondo perduto che si prospetta anche come rifugio per le delusioni del presente.

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lunedì 13 febbraio 2017

Tra restauro e rifacimento: l'atelier di Bartolomeo Cavaceppi

Tra restauro e rifacimento: L'atelier di Bartolmeo  Cavaceppi


Fauno. Musei capitolini


Nella Villa sulla via Salaria, che il cardinale Alessandro Albani, nipote del papa Clemente XI, aveva fatto costruire tra il 1756 e il 1763, aveva trovato posto un singolare museo, in cui le oper d'arte si armonizzano con la struttura architettonica, studiata nelle sue varie articolazioni proprio con una precisa finalità evocativa. Regista della complessa operazione fu Johann Joachim Winckelmann, la capacità tecnica dell'architetto Carlo Marchionni, il classicismo di un pittore come Anton Raphael Mengs, l'abilità di un restauratore come Bartolomeo Cavaceppi.
Con Cavaceppi (1719 – 1799) scultore in proprio, collezionista, si assiste alla nascita del restauro inteso come attività autonoma, collegata con il problema della conservazione e dell'esposizione delle opere d'arte. Tale ppratica si svolgeva nel rapporto diretto tra archeologo – conoscitore e restauratore, il quale, su indicazione del primo, interveniva su reperti antichi per completarli, ove fosse necessario, rispettandone i caratteri stilistici. Il restauratore modesto doveva assimilare le metodologie dello scultore antico, e che quasi ne proseguisse l'attività dimostrando un'analoga abilità, oltre che una tale condizione stilistica. Ma allora si trattava  di rispondere a precise esigenze culturali (oltre che al desiderio, in certi casi, di rendere maggiormente vendibile un'opera): il completamento era frutto di uno studio appassionato e serviva ad arricchire ulteriormente la conoscenza dell'antichità, che si sarebbe giovata di tali recuperi, nell'osservazione delle opere riproposte nel loro presunto stato originario.
Cavaceppi realizzò una grande quantità di copie di sculture classiche, diffuse poi in tutta Europa, spesso acquistate direttamente nello studio di via del Babuino: un gigantesco atelier pieno di sculture, di gessi, di dipinti, di bozzetti, di medaglie, dove anche si recarono in visita personalità come Goethe e il papa Pio VI.
Cavaceppi aveva fatto in tempo a partecipare, proprio come restauratore, alla nascita del Museo Pio – Clementino in Vaticano (1771 – 1793), promosso dai Papi Clmente XIV e Pio VI i quali si ponevano così sulla linea inaugurata da papa Benedetto XIV con l'istituzionem già nel 1749, di una Pinacoteca, nel palazzo dei Conservatori.

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