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martedì 16 aprile 2019

I Fauves. La bellezza del brutto

I Fauves

La bellezza del brutto


James Ensor. I vecchi mascherati. 1889


Amare il brutto fu la regola dell'espressionismo tedesco: in pittura e scultura nella musica delle dissonanze. 
Nel 1853 il tedesco Karl Rosenkranz pubblicò il suo trattato intitolato L'estetica del Brutto, in cui l'autore si proponeva di "scavare un più profondo accesso all'inferno dell'esistente". Il brutto appare come l'altra parte del sublime teorizzato dal filosofo Immanuel Kant nella sua Critica del Giudizio (1790), cioè quella sensazione forte, impossibile da elaborare da parte della ragione e mai oggetto di un vero giudizio, che si prova davanti agli eccessi: un paesaggio vastissimo, un cileo pieno di lampi, un'opera d'arte che ci impressiona così tanto da creare una sensazione di disagio. 
L'antitesi "Bello" e "Brutto" sembra ripetersi nel pensiero del filosofo più amato degli Espressionisti Friedrich Nietzsche, che però rivolta il loro valore, già dal suo primo libro La nascita della tragedia (1871): ciò che egli definisce "apollineo", cioè l'eccessivo, lo sfrenato, il brutto, incarna lo spirito positivo la vitalità libera da ogni costrizione. 

lunedì 1 aprile 2019

Neoclassicismo, linguaggio internazionale

Neoclassicismo, linguaggio internazionale

Il modello del Neoclassicismo inglese


John Nash, James Thomson St. Maryelbone, 1826. Cumberland Terrace. Londra

In Gran Bretagna il Classicismo si impose e gli stili precedenti ma in continuità visto che sin dai tempi dell'architetto Inigo Jones (1573-1652) si era sviluppata in quel Paese un'ininterrotta tradizione classica, in cui erano evidenti soprattutto gli influssi del Cinquecento italiano, in particolare di Andrea Palladio e di Vincenzo Scamozzi.
Nel corso del Settecento, poi, lo stile palladiano di lord Burlington aveva reppresentato un deciso contraltare alle forme barocche, rococò, anticipando quello che verrà definito l'Adam Style da Robert Adam (1728-1792), architetto che seppe fondere elementi palladiani e rinascimentali in edifici per i quali curava anche i singoli aspetti dell'arredo interno, la sua opera presenta una rara omogeneità e completezza. Le ville di campagna e i complessi residenziali realizzati da Robert Adam, sono caraterizzati non solo per la ricerca di un'armonia complessiva, ma anche per il senso di comodità e di intimità, oltre che di sobria eleganza, che connota gli interni, ornati spesso i bianchi stucchi del raffinato disegno. 
La solennità dell'ambiente convive con la leggerezza crommatica, come nel salone d'ingresso di Syon House (dal 1761), nei pressi di Londra, la partizione lineare delle pareti contrasta con lo schema geometrico del pavimento a marmi bianchi e neri. 
-Così John Nash (1752-1835) realizzò a Londra tra il 1812 e il 1827, nell'ambito di un ampio rinnovamnto urbanistico, il grandioso corso di Regent Street, su cui si affacciano edifici monumentali di impronta scenografica, provvisti di prospetti pieni di colonne e di statue, quasi per rinnovare i fasti della Roma imperiale.
John Soane (1753-1837), capace di progettare edifici ancora memori del Barocco, altri ispirati a un razionalismo che si direbbe derivato da Boullée e Ledoux (dell'Old Colonial Office, del 1818-1823), come la casa londinese dell'artista, dove oggi è allestito Soane's Museum, frutto della più stravagante combinazione di elementi.  

Il Neoclassicismo in Germania

In Germania, dove già nel 1789 Karl Gotthard Lnghans (1732-1808) si era ispirato all'Acropoli per la berlinese Porte di Brandeburgo, l'architettura conobbe una declinazione classicista grazie soprattutto a Karl Friedrich von Schinkel (1781-1841), e a Leo von Klnze (1784-1844), che con i suoi edifici di composta monumentelità e le grandiose piazze diede a Monaco quel carattere che ancora oggi la distingue. 

Il Neoclassicismo negli Stati Uniti


William Thornton, Benjamin Latrobe, Charles Bulfinch, Campidoglio. 1792-1827. Washinghton


Thoomas Jefferson (1743-1826), era stato il principale redattore della Dichiarazione d'indipendenza del 1776 e sarà poi eletto presidente degli Stati Uniti per due successivi mandati (1801-1809). Fu lui, cultore di architettura che realizzò la propria residenza di Monticello (presso Charlottesville) in stile neoclassico (1771, poi ristruturata nel 1793-1809) e che prese a modello per il Campidoglio di Richmond (1785-1796) la Maison Carrée di Nimes. 
A partire dal 1817, progettò l'Università della Virginia. Nel fondo spicca la biblioteca modellata sul Pantheon, mentre ai lati si allineano cinque padiglioni per parte, collegati dda porticati e caratterizzati ognuno da una particolare tipologia architettonica in modo che gli studenti possono accostarsi ai diversi stili. 
La prima stazione ferroviaria di Lowell, nel Massachusetts, del 1835, aveva un esempio la forma di un tempio greco e l'unico binario esistente passava sotto il colonnato. 

Il Neoclassicismo in Francia


Alexandre-Pierre Vignon, Chiesa della Madeleine, 1807-1842


Il Classicismo si impone in Francia soprattutto durante l'Età napoleonica. Punto di riferimento privilegiato divenne l'arcitettura dell'età imperiale romana, dalla quale venne ripreso, per esempio, il modello dell'arco di trionfo. 
Per celebrare Napoleone nel 1806 Jean François Chalgrin (1739-1811) diede inizio a Parigi all'Arco di Trionfo, completato solo molo più tardi, nel 1837, a causa delle contestazioni cui venne sottoposto il progetto e della caduta dell'Imperatore. 
Gli architetti preferiti da Napoleone erano però Charles Percier (1764-1838) a Pierre-François-Léonard Fontaine (1762-1853), che erano stati allievi di Boullée e che ebbero il compito di ristrutturare Parigi dal punto di vista urbanistico e architettonico. Rue de Rivoli e la zona attorno a Place Vendome, la costruzione nel 1806-1810 dell'Arc du Carrousel su iimitazione di quello di Settimo Severo nel Foro romano, l'arredamento di parecchi palazzi e castelli. 
Al e il 1827) e exandre-Pierre Vignon (1762-1846) comimciò a trasformare completamente la Chiesa della Madeleine, che era stata iniziata nel 1764, in un Tempio della Gloria dedicato alla Grande Armée: appoggiata su un alto basamento e circondata tutt'attorno da grandi colonne corinzie, poi restituita dal culto cattolico con la Restaurazione e infine completata solo nel 1842. 
La chiesa di Sainte Geneviève, dedicata a Santa Genoveffa, che Luigi XV aveva voluto in voto dopo la guarigione di una grave malattia. L'archtetto Jacques-Germain Soufflot (1713-1780) si era ispirato al PAntheon di Roma e Panthéon venne chiamato durante la Rivoluzione l'edificio, destinato a opsitare le tombe dei grandi di Francia. 

Il Neoclassicismo di Giacomo Quarenghi e Carlo Rossi


Giacomo Quarenghi, Palazzo dell'Accademia delle Scienze, 1783-1787. San Pietroburgo


Carlo Rossi. Palazzo Mikhailovskj. 1819-1825. Facciata sulla Piazza delle Arti 


In Russia il Neoclassicismo si espresse soprattutto attraverso il bergamasco Giacomo Quarenghi (1744-1817). 
Quando arrivò in Russia nel 1780, su invito della zarina Caterina II, aveva ale spalle una serie di viaggi in Francia e in Gran Bretagna. Continuò a lavorare, Paolo I e  Alessandro I, contribuendo in maniera determinante a creare il volto di San Pietroburgo secondo una prevalente impostazione neoclassica. 
Per la città, la capitale della Russia, Quarenghi progettò svariati edifici, dal Teatro dell'Ermitage (1783-1787), che riprende lo schema compositivo del teatro anntico e del Teatro Olimpico del Palladio, all'Accademia delle Scienze (1783-1787), alla Banca di Credito (1783-1790), alla Borsa (1784-1801). 
In tutte queste opere si avverte un senso di equilibrio e di elegante proporzione, attraverso la personale rielaborazione dei modelli palladiani. 
San Pietroburgo dal napoletano Carlo Rossi (1775-1849), che ralizzò nella città sulla Neva interi quartieri tra il 1819 e il 1827) e la Piazza d'Inverno (1819-1827)

giovedì 21 giugno 2018

Una crisi dell'arte. Europa. Tardo Cinquecento

Una crisi dell'arte. Europa. Tardo Cinquecento

Nelle città italiane, attorno al 1520, tutti gli amatori d'arte parevano concordi nell'affermare che la pittura aveva raggiunto l'apice della perfezione. Michelangelo e Raffaello, Tiziano e Leonardo, avevano mostrato come bellezza e armonia potessero combianrsi con l'esatezza e avevano perfino superato, le più celebru statue greche e romane. Tutto, in arte, era stato raggiunto. Taluni parevano accettare questa idea come inevitabile, e si applicavano intensamente a studiare ciò che Michelangelo aveva studiato, nella speranza di imitare nel migliorr modo possibile la sua maniera. Il risultato fu a volte lievemente ridicolo: le scene sacre della Bibbia sembrano ora affollate da squadre di giovani atleti in allenamento. In seguito aluni critici, rendendosi conto che questi giovani pittori erano andati fuori strada solo eprché imitarono la maniera piuttosto che lo spirito delle opere michelangiolesche, hanno definito "periodo del manierismo" quello in cui tale moda imperò. Ma non tutti i giovani di allora furono così sciocchi da crwdere che l'unica esigenza dell'arte fosse una collezione di nudi in pose complicate. Molti, si domandavano se l'arte potesse mai veramente subire un arresto e se non fosse possibile, superare i famosi maestri della generazione precedente, se non nel trattamento delle forme umane almeno in qualche altro campo. Alcuni vollero superarli nell'inventiva, creando quadri pieni di significato e di sapienza; maa di una sapienza tale da riuscire oscura a tutti tranne ai più colti esperti. Altri ancora vollero attirare l'attenzione facendo opere men naturali, meno immediate, meno semplici e armoniose di quelle dei grandi maestri che sono senz'altro perfette: ma la perfezione non interessa in eterno. Certo c'era qualcosa di lievemente morboso in questa febbre di superare i maestri che portò anche i migliori fra i giovani artisti a esperimenti strani e cerebrali. Eppure questi frenetici tentativi di progredire erano il massimo tributo che si potesse rendere agli artisti precedenti. In certa misura i grandi artisti "classici" avevanno essi stessi iniziato e incoraggiato esperimenti strani e insoliti; grazie al loro nome e al credito di cui fruirono negli anni più tardi, avevano potuto tentare effetti coloristici nuovi e poco ortodossi: aprendo nell'arte nuove possibilità, Michelangelo, aveva talvolta coragiosamente trascurato ogni convenzione, soprattutto nell'architettura, staccnadosi dalle regole consacrate dalla tradizione classica per abbandonarsi ai suoi umori e alle sue fantasie. 


Federico Zuccari. Una finestra di Palazzo Zuccari a Roma. 1592

Era naturale che i giovani artisti interpretassero ciò come un incitamento a stupire il pubblico con invenzioni "originali". Dai loro tentativi nacquero disegni divertenti. La finestra a forma di viso, disegnata da un architetto e pittore Federico Zuccari (1543-1609), rende bene l'idea di questo genere di capricci. L'architetto Andrea di Pietro della Gondola, detto Palladio (1508-1580). 


Andrea Palladio. "La Rotonda" presso Vicenza. 1550

La figura mostra la suua famosa villa La Rotonda presso Vicenza. A suo modo è anch'essa un "capriccio" perché presenta quattro lati identici, ciascuno con un porticato da tempio classico, delimitanti una sala centrale ispirata al Pantheon. 
Lo scultore e orafo fiorentino Benvenuto Cellini (1500-1571). Era millantatore, spietato e vanitoso, ma racconta la storia delle sue avventure e delle sue imprese con tale gusto che si ha l'impressione di leggere un romanzo di Dumas. 


Benvenuto Cellini. Saliera in oro cesellato e smalto su base di ebano. 1543

Cellini è un autentico prodotto del suo tempo. Per lui essere artista non significava più essere un rispettabile e tranquillo proprietario di boottega, ma piuttosto un "virtuoso" per i cui favori rivaleggiassero principi e cardinali. Una delle poche opere di mano sua giunta fino a noi è una saliera d'oro fatta per il re di Francia nel 1543. Rappresenta la Terra e il Mare, per mostrare come mare e terra si compenetrino, intrecciò le gambe delle due figure. 
La concezione celliniana è tipica di quel periodo inquuieto e febbrili tentativi volti a cercare qualcosa di più interessante e originale dell'arte delle precedenti generazioni, Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (1503-1540). 


Parmigianino. Madonna dal collo lungo. 1534-1540

Certuni potranno sentirsi urtati dalla Madonna della figura, per l'affettazione e la cerebralità con cui viene reso un soggetto sacro. L'opera è detta la Madonna dal collo lungo perché il pittore, tutto teso a far apparire aggraziata ed elegante la Vergine, le ha dato un collo da cigno, distorcendo e allungando bizzarramente le proporzioni del corpo umano. Vediamo la mano della Vergine, dalle lunghe dita delicate, la lunga gamba dell'angelo in primo piano, il macilento profeta con il rotolo di pergamena come in uno specchio deformante. L'artista si è preoccupato, di mostrarci che queste forme innaturalmente allungate gli piacevano, se, per garantirne l'effetto, ha pposto sullo sfondo un'alta colonna di foggia bizzarra e di proporzioni parimenti eccezionali. Egli ha pigiato una schiera di angeli uno sull'altro in un angolo stretto, mentre nell'angolo opposto, vuoto, campeggia l'alta figura del profeta, ma così ridotta per la distanza da non raggiungere nemmeno le ginocchia delle Vargine. Il pittore non accettava i canoni consacrati e voleva mostrare come la concezione classica dell'armonia non fosse la sola possibile: che se la semplicità naturale è un mezzo per raggiungere la bellezza, vi sono due modi meno diretti, per gli amatori d'arte raffinati, di ottenere effetti interessanti. Il Parmigianino fu tra i primi pittori "moderni". Vedremo, che ciò che chiamiamo arte "mmoderna" può affondare le sue radici in un'analoga esigenza di evitare l'ovvio per raggiungere effetti diversi dalla convenzionale bellezza della natura.


Giambologna. Mercurio. 1580

Altri artisti furono meno scettici sulla possibilità di superarlo sulla base consueta dell'abilità e del virtuosismo. La statua di Mercurio, il messaggero degli dèi, dello scultore fiammingo Jean Boulogne (1529-1608), che gli italiani chiamarono Giambologna. Egli si era proposto di attuare l'impossibile in una statua capace di vincere il peso della materia e di crere la sensazione di un rapido volo attraverso l'aria. Questo famoso Ermes tocca solo con la punta del piede la Terra: o meglio, uno sbuffo d'aria che esce dalla bocca di una maschera simboleggiante il vento del Sud. 
Forse uno scultore classico, avrebbe biasimato tale effetto in una statua che dovrebbe ricordare il blocco pesante da cui proviene: ma Giambologna, preferì sfidare queste regole da tempo codificate mostrando quali effetti sorprendenti si potessero ottenere per altra via. 
Jacopo Robusti, soprannominato il Tintoretto (1518-1594). Era stanco della pura bellezza di forme e colori che Tiziano aveva mostrato ai veneziani.


Tintoretto. Ritrovamento dei resti di san Marco. 1562

La figura mostra come effettivamente sia riuscito a dare originalità e fascino ai suoi dipinti. Invece di una nitida e raffaellesca disposizione delle figure principali, ci troviamo davanti agli occhi uno strano e profondo scantinato. Nell'angolo di sinistra un alto uomo aureolato soleva il braccio come a fermare un evento che sta per accadere; seguendo il suo gesto scorgiamo, in alto sotto la volta, nell'altro lato del quadro, due uomini che stanno calando un corpo tratto da una tomba di cui hanno aperto il coperchio, e un terzo, in turbante, li aiuta, mentre nello sfondo, valendosi di una torcia, un patrizio tenta di leggere l'iscrizione di un altro sepolcro. Si sta evidentemente saccheggiando una catacomba. Uno dei morti, è steso in terra su un tappeto, mentre un vecchio pieno di dignità e sontuosamente vestito, lo contempla in ginocchio. A destra c'è un gruppo di uomini e donne i quali, visibilmente stupefatti, osservano la figura che deve essere un santo. Se guardiamo più da vicino vediamo che tiene in mano un libro: è san Marco Evangelista, il santo Patrono di Venezia. Il dipinto rappresenta la storia di come i resti di san Marco vennero portati da Alessandria a Venezia, dove, per ospitarli, fu costruita la fomsa chiesa di San Marco. Narra la storia che san Marco era stato vescovo di Alessandria ed era stato sepolto in una delle catacombe della città. Quando il gruppo di veneziani penetrò nella catacomba per compiere la pia impresa di trovre i resti del santo, non sapeva in quale delle molte tombe la preziosa reliquia fosse nascosta. Ma quando si trovò presso qualla giusta, san Marco apparve all'improvviso, indicando i resti della propria esistenza terrena. Il santo ordina agli uomini di sospendere l'esame delle tombe. Il suo corpo è stato ritrovato e giace ai suoi piedi inondato di luce e già con la sua presenza opera i miracoli. L'indemoniato che si contorce, a destra del quadro, è esorcizzato e il filo di fumo che gli esce dalla bocca rappresenta il diavolo di cui si libera. Il patrizio in ginocchio in segno di gratitudine e di adorazione è il donatore, membro della confraternita religiosa he aveva commissionato il quadro.


Tintoretto. San Giorgio e il drago. 1555-1558

 Il Tintoretto sacrificò anche la pastosa gamma cromatica delle precedenti opere di Giorgione e di Tiziano, vanto e conquista della pittura veneta. Il suo quadro con la lotta di san Giorgio e il drago, ora a Londra, mostra come i toni spezzati e la luce irreale accentuino la drammaticità e la commozione. Sentiamo che il dramma ha raggiunto l'apice. La principessa sembra precipiarsi fuori dal quadro mentre l'eroe; contro ogni regola, è confinato sul fondo della scena. Così come si presentava la sua opera peccava per la scarsa accuratezza dell'esecuzione e per l'eccentricità del gusto, pensava Vasari, perplesso per la mancanza delle "rifiniture" nei dipinti del Tintoretto. In periodi come quello cui appartiene il Tintorettola tecnica aveva raggiunto un livello così alto che chiunque, con una certa atitudine meccanica, poteva assimilarne gli accorgimenti. Un uomo della statura del Tintoretto voleva mostrare le cose in una nuova luce, voleva entare nuovi modi di rappresentare le leggende e i miti del passato. Avrebbe considerato perfetta la sua postura quando avesse espresso la propria visione del mondo fvoloso. Una rifinitura liscia e attenta non poteva interessarlo perché non serviva ai suoi fini: avrebbe potuto anzi distrarre l'attenzione dagli eventi drammatici che si svolgevano nel quadro. Sicché lasciò la sua opera com'era e la gente perplessa. Domìnikos Thetokòpulos (1541-1614) fu abbreviato in El Greco. Era venuto a Venezia da un ngolo appartato del mondo che dal medioevo in poi non aveva elaborato alcuna nuova forma d'arte. In patria doveva essere abituato a vedere le immagini dei santi nel vecchio stile bizantino, solenni, rigide, lontanissime da ogni verosimiglianza. Anch'egli, uomo probabilmente appassionato e devoto, si sentiva spinto a narrare le storie sacre con un linguaggio nuovo e vivo.


El Greco. L'apertura del quinto sigillo dell'Apocalisse. 1608-1614

Dopo la sua permanenza a Venezia, si stabilì in una parte lontana dell'Europa, a Toledo, in Spagna, non avrebbe certo corso il rischio di essere disturbato e incalzato dai critici in nome dell'esattezza naturalistica del disegno. Uno ddei suoi quadri di più sorprendente efficacia, rappresenta un passo dell'Apocalisse di san Giovanni, ed è lo stesso san Giovanni che vediamo a sinistra del dipinto, rapito in estasi, con lo sguardo rivolto al cielo e le braccia levte in un gesto profetico. 
Il passo è quello nel quale l'agnello chiama san Giovanni perché venga a vedere l'apertura dei sette sigilli. Le figure nude dai gesti concitati sono perciò i martiri che si levano dalle loro tombe e gridano venddetta al cielo, stendendo le mani per ricevere il dono devino delle vesti bianche. El Greco ha imparato molto dal nuovo metodo compostivo asimmetrico e anticonformista del Tintoretto e ha altresì adottato figure troppo manieristicamente allungate, come la sofisticata Madonna del Parmigianino. Viveva in Spagna, dove la religione assumeva un mistico fervore che non aveva riscontro in alcun altro luogo: in una simile atmosfera l'arte cerebrale del manierismo doveva fatalmente peredere gran parte del carattere estetizzante. Per quanto la sua opera ci colpisca per l'incredibile "modernità", i contemporanei sspagnoli non sembrano aver sollevato obiezioni del genere di quelle di Vasari al Tintoretto.


El Greco. Frate Hortensio Felix. Paravicino. 1609

I maggiori possono veramente stare alla pari con quelli di Tiziano. Fu soltanto una generazione più tardi che la gente prese a criticare l'innaturalezza delle sue forme e dei suoi colori, considerando i suoi quadri quasi come scherzi di cattivo gusto. E soo dopo la Prima guerra mondiale, quando gli artisti moderni ci insegnarono a non applicare gli stessi criteri di "esattezza" a tutte le opere d'arte, El Greco fu riscoperto e compreso. 
Nel Settentrione, in Germania, Olanda e Inghilterra, gli artisti si rovavano dinanzi a una crisi ben pià reale di quella dei loro colleghi d'Italia e Spagna. Nel Nord la questione pressto si trasformò in un'altra: se la pittura dovesse o meno continuare a esistere. La grande crisi fu provocata dalla Riforma. Molti protestanti erano contrari alle statue e ai quadri nelle chiese perché li consideravano un segno di idolatria papista. Così i pittori delle regioni protestanti persero la loro principale fonte di guadagno: la pittura di pale d'altare. Agli artisti rimaneva, come unica fonte regolare di guadagno, la possibilità di illustrare libri e di fare ritratti: ma era dubbio che così riuscissero a vivere. 
Hans Holbein il Giovane (1497-1543). Holbein era di ventisei anni più giovane di Dürer e solo di tre anni più anziano di Cellini. Nacque ad Augusta; ricca città mercantile legata all'Italia da stretti rapporti commerciali, ma ben presto si trasferì a Basilea, città assai nota perché aperta alle nuove correnti culturali. Holbein, proveniva dalla famiglia di un pittore (il padre era un artista stimato) ed essendo di ingegno straordinariamente vivaceassimilò ben presto le conquiste degli artisti ssia nordici sia italiani Aveva poco più di trent'anni quando dipinse la mirabile pala d'altare della Vergine con i donatori: la famiglia del borgomastro di Basilea.


Hans Holbein il Giovane. La Vergine e il Bambino con la famiglia del borgomastro Meyer. 1528

L'iconografia era qualla convenzionale in tutti i paesi. Ma il quadro di Holbein rimase uno degli esempi perfetti del suo genere. Il modo con cui sono diposti i gruppi dei donatori, ai due lati della figura calma e regale della Madonna incorniciata da una nicchia classica. L'attenta cura del particolare e una certa indifferenza per la bellezza convenzionale mostrano come Holbein avesse imparato il mestiere nel Nord. Nel 1526 abbandonò la Svizzera per l'Inghilterra con una lettera commendatizia del gran dotto Erasmo da Rotterdam. "Qui le arti sono il gelo" scriveva Erasmo raccomandando il pittore ai suoi amici, fra i quali Thomas More.


Hans Holbein il Giovane. Anne Cresacre, nuora di Sir Thomas More. 1528

Uno dei primi incarichi che Holbein ricevette in Inghilterra fu quello di fare un grande ritratto della famiglia di quel dotto, e alcuni studi particolari per quell'opera sono tutt'ora conservati al castello di Windsor. Stabilitosi definitvaamente in Inghilterra. ricevuto da Enrico VIII il titolo uffuciale di pittore di corte, trovò almeno na sfera di attività che gli consentiva di vivere e lavorare. Disegnò gioielli e mobili, costumi per feste e decoarzioni per saloni, armi e coppe. Il suo compito principale era però quallo di fare ritratti ai reali, ed è grazie all'occhio infallibile di Holbein che ci resta un quadro così vivace degli uomini e delle donne del periodo di Enrico VIII.


Hans Holbein il Giovane. Sir Richard Southwell. 1536

La figura ci mostra il ritratto di Sir Richard Southwell, un funzionario e cortigiano che ebbe una parte importante nell'aboolizione dei monasteri. Il modo in cui Holbein ha disposto la figura nel quadro mostra il tocco sicuro del maestro. Holbein, nei primi ritratti tentava ancora di sfoggiare la sua mirabile abilità nel rilievo dei particolari, nella caratterizzazione di un modello attraverso il suo ambiente e gli oggetti fra cui trascorreva la vita. ma quanto più invecchiava (e la sua arte si faceva matura) tanto meno sentiva il bisogno di simili espedienti. Non voleva mettere in luce sé stesso e distogliere l'attenzione dal modello.


Hans Holbein il Giovane. Georg Gisze, mercante tedesco a Londra, 1532

Quando Holbein ebbe abbandonato i peasi di lingua tedesca, in essi la pittura cominciò a declinare in modo impressionante e, lo stesso avvenne in Inghilterra. Il ritratto di un giovane gentiluomo inglese del periodo elisabettiano, è uno degli esempi migliori di questo nuovo tipo di ritratto. E' una miniatura del famoso maestro inglese Nicholas Hilliard (1547-1619), un contemporaneo di Sir Philip Sidney e di William Shakespeare. Guardanndo questo damerino che tra selvtiche roselline spinose si appoggia languidamente a un albero, con la mano destra premuta sul cuore, il nostro pensiero corre alle pastorali di Sidney e alle commedie di Shakespeare. Forse la miniatura doveva essere un ono del giovane alla dama corteggiata, poiché reca l'iscrizione latina "Dat poenas laudata fides". Per un giovane galante di quei tempi malinconia e amore mal corrisposto erano di prammatica. Sospiri e sonetti facevano parte di un gioco aggraziato e complicato, che nessuno prendeva troppo sul serio ma in cui tutti volevano brillare escogitando nuove variazioni e raffinatezze.


Nicholas Hilliard. Giovane uomo fra le rose. 1587

Ci fu un solo paese protestante in Europa in cui l'arte riuscì a sopravvivere del tutto alla crisi della Riforma: i Paesi Bassi. Là dove la pittura era così a lungo fiorita, gli artisti trovarono una via d'uscita alle loro difficoltà, si specializzarono in tutti i soggetti contro i quali la Chiesa protestante non poteva sollevare obiezioni. Dai tempi lontani di Van Eyck gli artisti dei Paesi Bassi erano riconosciuti come perfetti imitatori della natura. Gli italiani, erano pronti a riiconoscere che i "fiamminghi" li superavano per la pazienza e l'accuratezza con cui sapevano ritrarre un fiore, un albero, un granaio o un gregge di pecore. Era naturale che gli artisti del Nord, ai quali non si commissionavano più pale d'altare o altre opere di devozione, tentassero di trovare uno sbocco commerciale alle loro note specialità dipingendo quadri il cui pregio essenziale era la stupenda abilità e fedeltà della rappresentazione. Ora che l'ambito della pittura era ristretto, i pittori avanzarono per questa via tentando di sviluppare quelle tradizioni dell'arte nordica che risalivano al tempo delle droleries sui margini dei manoscritti medievali, e alle scene di vita reale dell'arte quattrocentesca.. Le pitture che riproducevano scene della vita quotidiana e soggetti affini sono note usualmente sotto il nome di "pitture di genere". Il maggior maestro di pitture di genere nel Cinquecento fu Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569). Come molti artisti nordici del suo tempo, fu in Italia e visse e lavorò ad Anversa e a Bruxelles e dipinse la maggior parte dei suoi quadri tra il 1560 e il 1570, il decennio che vide l'arrivo nei Paesi Bassi del truce duca d'Alba. In uno dei suoi magniici disegni è chiaro che egli si propone di mettere in risalto il contrasto tra il pittore orgoglioso e l'individuo occhialuto e stupido che si fruga in tasca e intano sbircia da dietro le spalle dell'artista.


Pieter Bruegel il Vecchio. Il pittore e l'acquirente. 1565

Il genere che Bruegel scelse fu quello delle scene contadine. Dipinse contadini in festa, nei banchetti e al lavoro, tantoo che a poco a poco lo si considerò un contadino fiammingo. Il suo atteggiamento vero la rustica vita di villaggio ha probabilmente molti punti in comune con quello di Shakespeare, per il quale Quince il legnaiolo e Bottom il tessitore sono press'a poco "buffoni". 
Era abitudine dell'epoca considerare il villano come una figura spassosa: nella vita rustica la natura umana era meno camuffata e coperta della maschera dell'artificio e della convenzionalità che non nella vita dei signori dipinti da Hilliard, così, volendo rappresentare la follia umana, essi sceglievano spesso i loro modelli tra i ceti più bassi.


Pieter Bruegel il Vecchio. Nozze contadine. 1568

Una delle più riuscite commedie umane di Bruegel sono le famose Nozze contadine. Esso perde molto nella riproduzione: tutti i particolari si rimpiccioliscono assai, per tanto lo si deve osservare con raddoppiata attenzione. La festa si svolge in una stalla, in alto, sullo sfondo, paglia accumulata. La sposa ha sul capo una specie di corona e, dietro di lei, pende dalla parete un panno azzurro, Siede in posa tranquilla, a mani conserte, con un sorriso soddisfatto sul volto idiota.


Il vecchio sulla sedia e la donna che le è vicina sono probabilmente i genitori, mentre l'uomo più discosto, così indaffarato a ingozzarsi di cibo con il cucchiaio, dev'essere lo sposo. La maggior parte dei commensali bada a mangiare e a bere; si capisce che questo è solo l'inizio. Nell'angolo sinistro un uomo sta versando la birra mentre due uomini in grembiule bianco portano altri due piatti colmi  di cibo su un vassoio improvvisato. Uno degli ospiti passa i piatti ai commensali. C'è una folla nello sfondo che cerca di entrare, ci sono i musicanti, uno dei quali fissa il cubo che gli sfila accanto con occhi patetici, umili e affamti. All'angolo del tavolo vi sono due persone estranee alla compagnia, il frate e il magistrato, immersi nella loro conversazione; in primo piano c'è un bambino che, impadronitosi di un piatto e di un berretto piumato troppo grande per laa sua piccola testa, è tutto intento a gustare qualche leccornia: un quadro di ghiottoneria innocente. La disposizione grazie alla quale il dipinto non appare per nulla affollato e confuso. La tavola sfuggente verso lo sfondo e le figure in continuo movimento, dalla folla che preme all'entrata nel granaio fino al primo piaano e alla scena dei portatori di vivande, attraverso il gesto dell'uomo che, distribuendo i piatti in tavola, avvia il nostro sguardo verso la figurina centrale della sposa sorridemte. 
Con queste vivaci e solo apparentemente semplici opere Bruegel ha aperto un nuovo campo all'arte, e le generazioni successive non mancheranno nei Paesi Bassi, di essplorarlo a fondo. 
La Francia, situata tra l'Italia e i Paesi nordici, veniva influenzata da entrambi. La robusta tradizione dell'arte medievale francese fu dapprima minacciata dall'ondata della moda italiana, che i pittori francesi trovarono difficile da adottare almeno quanto i loro ccolleghi dei Paesi Bassi. La forma in cui venne finalmente accettata l'arte italiana nnell'alta società fu quella dei grandi e raffinati manieristi del genere di Cellini. Ne scorgiamo l'influsso nei vivaci rilievi di una fontana, opera dello scultore frncese Jean Goujon (morto nel 1566). C'è qualcosa dell'eleganza meticolosa del Permigianino e insieme del virtuosismo di Giambologna nella grazia squisita di queste figure e nel modo in cui sono inserite nelle sottili strisce che le delimitano.


Jean Goujon. Ninfe, particolare della Fontana degli Innocenti. 1547-1549


Jacques Callot. Due maschere italiane. 1622


Una generazione più tardi, sorse in Francia un artista nelle cui acquqforti le bizarre fantasie ddei manieristi italiani si fondevano con lo spirito di Pieter Bruegel: il lorenese Jacques Callot (1592-1635). Egli amava le combianzioni più sorprendenti di figure smilze e alte e di vasti e insoliti scenari, ma come Bruegel adoperava tali espedienti per rappresentare le follie dell'umanità attraverso scene di reietti, soldati, sciancati, mendicanti e sonatori ambulanti. Nel tempo in cui le incisioni di Callot rendevano popolari ttali stravaganze, la maggior parte dei pittori rivolgeva la propria attenzione ei nuovi problemi discussi negli studi di Roma, Anversa e Madrid.

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domenica 17 giugno 2018

Diffusione delle nuove conquiste culturali. Germania e Paesi Bassi nel primo Cinquecento

Diffusione delle nuove conquiste culturali
Germania e Paesi Bassi nel primo Cinquecento

Le grandi conquiste dei maestri italiani del Rinascimento fecero una profonda impressione sui popoli d'oltralpe. Chiunque si interesse alla rinascita della cultura si volgeva all'Italia, dove si andavano riscoprendo la sapienza e i tesori dell'antichità classica. Un'opera d'arte gotica può essere altrettanto grande di un'opera del Rinascimento. Gli uomini di quel tempo, venuti a contatto con i capolavori del Sud, trovassero improvvisamente rozza e antiquata la loro arte. C'erano tre tangibili conquiste di maestri italiani alle quali essi miravano: la scoperta della prospettiva scientifica, la consoceva dell'anatomia e infine la conoscenza delle forme architettoniche classiche, la massima espressione di ogni dignità e bellezza. 
Le reazioni dei vari artisti e delle varie tradizioni di fronte alle nuove conquiste culturali e vedere come riuscirono ad affermarsi, o come a volte fallirono, a seconda della loro forza o dell'ampiezza della loro versione. Gli architetti s trovarono nella posizione più ardua. Lo stile gotico, e la rinascita delle forme antiche sono, almeno in teoria, entrambi logici e coerenti, ma diversi nel fine e nello spirito quanto due stili possono esserlo, Ci volle molto tempo prima che la nuova moda architettonica venisse adottata oltralpe. Avvenne a opera di nobili e principi che erano stati in Italia e desideravano mantenersi all'altezza dei tempi. Gli architetti spesso si piegarono solo apparentemente alle esigenze del nuovo stile. Per dare prova della loro dimestichezza con le nuove idee mettevano qui una colonna, là un fregio: aggiungevano, qualche elemento classico alla ricchezza dei motivi ornamentali. Ma il corpo vero e proprio ell'edificio rimaneva immutato. Vi sono chiese, in Francia, in Inghilterra e in Germania nelle quali i pilastri che reggono la volta sono camuffati, grazie all'aggiunta di capitelli, in modo da sembrare colonne, pur sussistendo le vetrate gotiche con tutte le loro triine architettoniche, l'arco acuto ha ceduto il posto all'arco a tutto sesto. 


Pierre Sohier. Coro di Saint-Pierre a Caen, 1518-1545

Vi sono chiostri sostenuti da colonne bizzarre a forma di bottiglia, castelli turriti e irti di contrafforti ma ricchi di  particolari classici, case a frontoni con fregi e statue classiche.


Jan Wallot e Christian Sixdeniers. La vecchia Cancelleria ("Le Greffe") a Bruges, 1535-1537

Un artista italiano, convinto della perfezione delle regole classiche, avrebbe distolto come orrore lo sguardo da simili cose, rinunciando a misurarle con criterio pedantemente occidentale, spesso possiamo ammirare l'ingegnosità e lo sspirito con cui quanti stili incongruenti vennero fusi. 
Nel caso degli scultori e dei pittori, elementi singoli come colonne o archi. Solo i pittori minori potevano accontentarsi di mutuare una figura o un gesto da un'incisione italiana di cui fossero venuti casualmente a conoscenza. Un vero artista si sarebbe sforzato di capire fino in fondo i nuovi principi dell'arte per poi decidere se applicarli o meno. L'opera del maggior artista tedesco, Albrecht Dürer (1471-1528), che fu sempre consapevole dell'importanza vitale di tali princìpi per l'avvenire dell'arte. 
Albrecht Dürer era figlio di un orafo di fama, venuto dall'Ungheria a stabilirsi nella florida città di Norimberga. Da ragazzo mostrò una straordinaria disposizione al disegno, e alcune sue opere di quel periodo ci sono state conservate. Venne messo come apprendista nella più importante bottega di pale d'altare e xilografie, quello del maestro Michael Wolgemut di Norimberga. Finito il tirocinio seguì il costume di tutti i giovani artisti medievali e viaggiò per ampliare le sue vedute e per cercare un posto dove stabilirsi. Da tempo desiderava visitare la bottega del maggiore acquafortista del tempo, Martin Schongauer, ma arrivato a Colmar, trovò che il maestro era morto qualche mese prima. Si trattenne un pò con i fratelli di Schongauer, che avevano assunto la direzione della bottega, e poi si ercò a Basilea, in Svizzera, centro culturale ed editoriale, dove eseguì incisioni in legno per libri. Proseguì poi per l'Italia settentrionale e, attraversanndo le alpi, tenne sempre gli occhi bene aperti su quanto gli accadeva di vedere, esegu' acquerelli di caratteristici luoghi alpini e studiò le opere di Mantegna. Tornato a Norimberga, per sposarsi e aprire una propria bottega, era padrone di tutte le raffinatezze che un artista nordico poteva sperare di acquistare nel Sud. Possedeva ben più di una semplice conoscenza tecnica della sua difficile arte di essere dotato di quella profondità di sentimento e vivacità di fantasia proprie del grande artista. Fu una serie di grandi xilografie per l'Apocalisse di san Giovanni. Fu un immediato successo. Le terrificanti visioni degli orrori del giorno del Giudizio, cui i segni e i portenti che lo precedono, tannta forza e tanta potenza. La fanntasia di Dürer e l'interesse del pubblico fomentarono l'irrequietudine generale e alimentarono il malcontento contro le istituzioni della Chiesa maturato in Germania verso la fine del medioevo, e destinato a sfociare nella riforma luterana. Le tetre visioni degli avvenimenti apocalittici avevano assunto per Dürer e per il suo pubblico un interesse particolare, credevano di dover assistere al compimento di quelle profezie. 


Albrecht Dürer. San Michele e il drago. 1498

La figura mostra un'illustrazione dell'Apocalisse. Dürer scartò tutte le pose tradizionali cui erano ripetutamente ricorsi i pittori per rendere iin modo elegante la lotta di un eroe contro un nemico mortale. Il San Michele di Dürer, è mortalmente serio, usa entrambe le mani per conficcare con uno sforzo sovrumano la lancia nella gola del dragone, e il suo geso possente domina tutta la scena. Gli altri angeli guerrieri, arcieri e schermitori i lotta con i morti diabolici, il cui aspetto fantastico sfida qualsiasi descrizione. Sotto questo celeste campo di battaglia si stende un paesaggio tranquillo e sereno segnato dal famoso monogramma di Dürer. 
Dürer nnon si accontentò di questa conquista. I suois studi e i suoi schizzi mostrano che suo scopo era anche contemplare la bellezza della natura e copiarla con pazienza e fedeltà quanto nessun altro artista. Alcuni di questi  studi di Dürer sono diventati famosi, per esempio la sua lepre (9), o il suo acquerello di una zolla erbosa. 


Albrecht Dürer. Zolla erbosa. 1503


Albrecht Dürer. Lepre. 1502




Dürer riteneva che fosse il modo migliore di presentare in maniera persuasiva gli episodi sacri che doveva illustrare in pitture, incisioni e xilografie. Quella medesima pazienza che gli consentiva disegnare gli schizzi, faceva di lui altresì l'incisore nato. 


Albrecht Dürer. Natività. 1504

Nella sua Natività, del 1504 Dürer riprese il tema di Schongauer, aveva rappresentato nella sua mirabile incisione. L'artista più vecchio si era già valso della possibilità di rappresentare con particolare amore i muri sacri della stalla cadente. La vecchia fattoria con l'intonaco sbrecciato e le togeole divelte, le macerie su cui crescono gli arbusti, gli assi decrepiti che fungono da tetto e fra i quali nidificano gli uccelli: tutto è reso con tale tranquilla e contemplativa pazienza da farci sentire quanto piacesse all'artista quella vecchia pittoresca bicocca. Le figure sembrano vramente minuscole e quasi insignificanti: Maria che ha cercato rifugio nnnell vecchia stalla ed è inginocchiata dinanzi al Bambino, e Giuseppe che è intento a trarre acqua del pozzo e a versarla meticolosamente in una stretta brocca. Nello sfondo uno dei pastori, in cielo il tradizionale anngelo che annuncia al mondo la lieta novella. La fattoria con i suoi umili ospiti crea una tale atmosfera di idillica pace che ci invita a meditare il miracolo della notte di Natale con lo stesso stato d'animo devotamente pensoso che ispirò l'incisione. Dürer pare aver sommato e perfezionato tutte le possibilità aperte dall'arte gotica dopo che questa aveva puntato verso l'imitazione della natura. Ma al tempo stesso la sua mente era occupata a studiare le nuove mete cui tendevano gli artisti italiani. C'era un fine: la rappresentazione del corpo umano nel pieno di quella bellezza ideale che gli aveva conferito l'arte classica. Qui Dürer doveva presto scoprire che ogni mera imitazione della natura, non sarebbe mai bastata a creare l'elusiva bellezza propria delle opere d'arte meridionali. Raffaelo si era richiamato a una "certa idea" di bellezza che aveva in mente, l'idea che aveva assimilato negli anni dedicati allo studio della scultura classica e dei bei modelli.  Dürer non solo aveva minori opportunità di studi ma mancava di una ferma tradizione o di un istinto infallibile che lo guidasse. Andò alla ricerca di una ricetta sicura, di una ragola trasmissibile e certa, capce di insegnare che cosa costituisce il bello nel corpo umano: negli inseriti degli autori classici sulle proporzioni ideali della figura. Egli intendeva, dare all'empirismo dei suoi predecessori (che avevano creato vigorose opere d'arte senza una chiara conoscenza delle regole) una conveniente base teorica. Dürer intento a sperimentare le varie regole della proporzione, vederlo deformare le proporzioni della struttura in corpi troppo allungati o troppo larghi, alla ricerca del giusto equilibrio della giusta armonia. Fu l'incisione di Adamo ed Eva, in cui egli incarnò tutte le sue nuove idee sulla bellezza e l'armonia, e che orgogliosamente firmò per esteso, in latino: ALBERTUS DÜRER NORICUS FACIEBAT. 

 

Albrecht Dürer. Adamo ed Eva. 1504

L'artista sta parlando un linguaggio familaire di quello dell'esempio precedente. Le armoniose figure cui pervenne, mediante misurazioni ed equilibri ottenuti con l'aiuto del complesso e della squadra, non hanno né l'evidenza né la bellezza dei modelli italiani e classici. Questo lieve senso di impaccio scompare però ben presto se ci si rende conto che Dürer non ha rinnegato il suo vero io per servire nuovi ideali, come fecero certi artisti minori. Se ci lasciamo tranquillamente guidare da lui nel paradiso terrestre dove il topo riposa tranquillo accanto al gatto. il cervo, la mucca, il coniglio e il pappagallo non temono l'approccio del passo umano, nel folto del bosco dove cresce l'albero della scienza e il serpente proge a Eva il frutto fatale, mentre Adamo tende la mano per riceverlo, Dürer rilevi il chiaro  contorno dei corpi dolcemente modellati che si stagliano sull'ombra densa della foresta dagli alberi rugosi, questo tentativo di trapiantare nel Nord gli ideali del Sud ci riempie di ammirazione. 
Un anno dopo aver pubblicato l'incisione se ne andò fino a Venezia per allargare il suo orizzonte e approfondire maggiormente i segreti dell'arte del Sud. 
Dürer scrisse una frase che mostra quanto egli sentisse il contrasto fra la sua condizione d'artista stretto dai rigidi ordinamenti delle corporazioni di Norimberga e la libertà di cui godevano i colleghi italiani. Dapprima, dovette contrastare e discutere con ii ricchi borghesi di Norimberga e Francoforte come qualsiasi altro artigiano. Dovette promettere loro di usare soltanto i colori più scelti per le sue pale e di stenderli a più strati. Ma a poco a poco la sua fama si allargò e l'imperatore Massimiliano, si assicurò i servigi di Dürer per molti i suoi ambiziosi progetti. A cinquant'anni, Dürer si recò in visita nei Paesi Bassi vi fu ricevuto con tutti gli onori. Lui stesso raccontò, come i pittori di Anversa lo onorassero nella loro corporazione con unbanchetto solenne "e, quando mi condussero alla tavola, la gente mi faceva ala come a un gran signore, e fra di essa molte persone di importanza si inchinavano tutte con profonda umiltà". Anche nei Paesi del Nord gli artisti più famosi avevano vinto quei pregiudizi che inducevano a disprezzare chi compiva un lavoro manuale. 
Uno scrittore del XVII secolo accenna piuttosto confusamente a un certo Mathias Grünewald di Aschaffenburg. Egli fa una luminosa descrizione di alcuni dipinti di questo "Correggio tedesco", e da allor ain poi queste e altre pitture attribuite allo stesso grande artista vanno generalmetne sotto l'etichetta "Grünewald ". Certe pitture attribuite al maestro portano le iniziali "M.G.N.", e poiché un pittore Mathis Gothardt Nuthardt è noto per essere vissuto e aver lavorato nelle vicinanze di Aschaffenburg quasi contemporaneamente a Dürer, si ritiene oggi che questo fosse il nome vero del grande maestro. Mentre Dürer ci sta innanzi come un essere vivo i cui gusti, abitudini, credenze e maniere ci sono intimamente noti, Grünewald  costituisce per noi un mistero pari a quello di Shakespeare. Noi sappiamo tante cose sul conto di Dürer proprio perché egli si considerva un riformatore e un rinnovatore dell'arte nazionale. Rifletteva su ciò che faceva e sul perché lo faceva, teneva nota dei suoi viaggi e delle sue ricerche e scriveva libri utili alla sua generazione. Il pittore dei capolavori di Grünewald vedeva sé stesso in questa luce. I dipinti che di lui possediamo sono pale d'altare concepite sullo stiile tradizionale per chiese di provincia grandi e piccole. Per quanto riguarda le grandi scoperte dell'arte italiana gli fossero certamente familiari, se ne valse solo fin dove gli parevano adattarsi alla sua personale concezione dell'arte. L'arte per lui non era ricerca delle segrete leggi della bellezza, e come tutta l'arte religiosa del medioevo non poteva venire concepita se non come un sermone figurato che illustrasse le sacre verità insegnate dalla Chiesa. La parte centrale della pala d'altare di Isenheim, mostra come egli abbia sacrificato ogni altra considerazione a questo fine supremo.



Grünewald. Crocifissione. 1515

 Non c'è traccia di bellezza, in questa raffigurazione forte e spietata del Salvatore crocifisso. Come un predicatore della Passione, Grünewald non risparmiò nulla pur di esprimere gli orrori della crudele agonia: il corpo moribondo di Cristo è deformato dalla tortura della croce; le spinde dei flagelli penetrano nelle ferite suppuranti che ricoprono l'intera figura. Il sangue rosso scuro contrasta nettamente con il verde smorto della carne, Cristo crocifisso esprime il significato della sua sofferenza attraverso le fattezze e il gesto commovente delle mani. La sua soffereza si riflette sul gruppo tradizionale di Maria, in vesti vedovali, che sviene fra le brccia di San Giovanni Evangelista al quale il Signore l'ha affidata; e nella figura più piccola di santa Maria Maddalena con il suo vaso di unguenti, che si troce le mani disperata. Sull'altro lato si erge la figura possente di san Giovanni Battista con l'antico simbolo dell'agnello che porta la croce e versa il suo sangue nel calicce della Santa Comunione. Egli addita il Salvatore con un gesto austero e imperioso, e accanto a lui sono scritte l parole che pronuncia "Bisogna che egli cresca e io diminuisca". 
L'artista voleva che lo spettatore meditasse queste parole, poiché le sottolinea con il gesto indicativo di Giovanni Battista. Voleva renderci visibilmente come Cristo debba farsi più grande e noi più piccoli. In questo dipinto c'è un gesto irreale e fantastico: le figure hanno proporzioni assai diverse. Basta paragonare le mani di santa Maria Maddalena sotto la croce con quelle di Cristo pre renderci pienamente conto della loro sorprendente diversità di dimensioni. Risalendo deliberatamente ai principi dei pittori primitivi e medievali che variavano la dimensione delle figure a seconda della loro importanza nel quadro. Come aveva sacrificato la "piacevolezza" al messaggio spirituale che la pala doveva esprimere, così non curò la nuova esigenza delle proporzioni esatte, perché in tal modo esprimeva meglio la mistica verità delle parole di san Giovanni. 
L'opera di Grünewald ci può ricordare ancora una volta che l'artista può essere veramente grande senza essere "progressista", la grandezza dell'arte non sta nelle nuove scoperte. Grünewald, dimostrò di conoscerle, ogni qualvolta potevano servirgli a esprimere ciò che aveva in mente. E come usò il pennello per raffigurare il corpo moribondo e tormentato di Cristo, lo usò su un altro pannello per esprimere la raffigurazione al momento della resurrezione in un soprannaturale splendore paradisiaco . 


Grünewald. Resurrezione. 1515

Cristo sembra appena sorto dalla tomba lasciandosi dietro una scia di luce raggiante, e il sudario riflette i raggi multicolori dell'aureola. C'è un netto contrasto fra  il Cristo risorto e i gesti sprovveduti dei soldati stesi a terra che, si divincolano con violenza nelle armature. E poiché non è possibile valutare la distanza tra il primo piano e lo sfondo, e le loro forme distorte non fanno che dare rilievo alla calma serena e maestosa del corpo trasfigurato di Cristo. 
Il terzo illustre tedesco della generazione di Dürer Lucas Cranach (1472-1553), fu artista estremamente promettente. In gioventù passò molti anni nella Germania meridionale e in Austria. Questo giovane pittore veniva sedotto dalle alture del settentrione con le loro antiche foreste e i paesaggi romantici. In un quadro del 1504 Cranach rappresentò la Sacra Famiglia che durante la fuga in Egitto, in uuna regione montagnosa e boschiva, si sta riposando vicino a una sorgente. E' un incantevole bosco, selvaggio e solitario. Schiere di angioletti sono riuniti attorno alla Vergine: uno offre bacche al Bambino Gesù, un altro attinge acqua con una conchiglia, altri ancora cercano di rianimare gli esuli stanchi con un concerto di flauti e zampogne. 


Lucas Cranach. Riposo durante la fuga in Egitto. 1504

Alla corte di Sassonia (famosa per i sentimenti di amicizia nei confronti di Martin Lutero) Cranach diventò pittore elegante e alla moda. Il pittore Albrecht Altdorfer di Regensburg (1480-1538) si avventurò in boschi e montagne per studiare la forma delle rocce e dei pini flagellati dalle intemperie. Molti dei suoi acquerelli e acqueforti e almeno uno dei suoi dipinti a olio non narrano né episodi né contengono figure. 


Albrecht Altdorfer. Paesaggio. 1526-1528

I Pesi Bassi, negli anni delle prime decadi del Cinquecento, non produssero tanti grandi maestri come nel Quattrocento. Gli artisti che, come Dürer in Germania, si sforzarono di assimilare la nuova scienza erano spesso intimamente comabbattuti tra la fedeltà ai vecchi canoni e l'amore per i nuovi. 


Mabuse. San Luca ritrae la Vergine. 1515

La figura mostra un esempio caratteristico del pittore Jan Gossaert, detto Mabuse (1478-1532). San Luca evangelista era pittore di mestiere: per questo viene qui rappresentato nell'atto di ritrarre la Vergine e il Bambino. Mabuse dipinse queste figure seguendo rigidamente le tradizioni di Jan van Eyck e dei suoi seguaci ma l'mabientazione risulta del tutto diversa: sembra quasi che il pittore voglia dare prova della sua conoscenza delle conquiste italiane, di abilità nella prospettiva scientifica; di dimestichezza con l'architettura classica e padronanza del chiaroscuro. Ne risulta un quadro privo della semplice armonia di modelli nordici e italiani. 
Nella cttà olandese di Hertogenbosch (Boosco Ducale) viveva un pittore che venne poi chiamato Hieronymus Bosch. Non sappiamo che età avesse quando morì, nel 1516, nel 1488 divenne un maestro autonomo. Come Grünewald, Bosch mostrò che la tradizione e le conquiste pittoriche, grazie alle quali erano state create opere profondamente concrete, potevano essere usate per così diire a rovescio, e offrirci un quadro ugualmente plausibile di cose mai viste da occhio umano. Diventò famoso per le spaventose rappresentazioni delle potenze malefiche. Il tetro re Filippo II di Spagna nutrì una predilezione speciale per questo artista che si era tanto occupato della malvagità dell'uomo.


Hieronymus Bosch. Paradiso e Inferno. 1510


Le figure mostrano gli spoortelli di un trittico da lui acquistato, tutt'ora in Spagna. Nel primo (a sinistra) assistiamo all'invasione del mondo da parte del male. La creazione di Eva è seguita dalla tentazione di Adamo ed entrambi vengono collocati nel paradiso, mentre in alto nel cielo vediamo la caduta degli angeli ribelli, che sono scaglliati giù come uno sciame di insetti ripugnanti. Sull'altro sportello è rappresentata una visione dell'inferno. Un orrore dietro l'altro, fuochi e torture e ogni genere di paurosi demoni che stanno fra l'animale, l'uomo e la macchina, e tormentano e infieriscono per l'eternità sulle povere anime peccatrici. Un artista era riuscito a dare forma concreta e sensibile ai terrori che avevano pesato come  un incubo sull'uomo del medioevo. Lo spirito moderno aveva provvisto l'artista dei mezzi necessari a rappresentare ciò che vedeva.

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domenica 4 febbraio 2018

La linea espressionista. Una generazione in marcia verso l'espressione. Le linee dell'Espressionismo europeo. I principi estetici dell'Espressionismo

La linea espressionista

Una generazione in marcia verso l'espressione


La Danza della vita. Edvard Munch. 1899-1900


Non vi fu un unico ceppo dal quale perse corpo una poetica di gruppo omogenea, ma tanti focolai dispersi soprattutto nell'Europa del Nord. Comune a tutti questi nuclei fu l'esigenza di esprimere attraverso la pittura stati d'animo (di qui appunto il termine Espressionismo) più che oggetti e fenomeni della visione. 
In questo senso la pittura accesa ed emotiva che caratterizzò gli Espressionisti si contrappose a quella, altrettanto vivace ma più indifferente sul piano delle emozioni, che fu propria dell'Impressionismo. 
Si presta attenzione all'introspezione, al modo in cui la sensibilità individuale coglie il mondo. 
Il termine Espressionismo nacque appunto in diretta contrapposizione a quello di Impressionismo. Si descrive con esso uno stile legato alla soggettività, con radici che, si possono trovare nel Michelangelo del non-finito, nell'ultimo Tiziano, nel Goya politico, e con un'eredità che si spinge fino ad artisti del secondo dopoguerra come Francis Bacon, Georg Baelitz e Anselm Kiefer. 

Le linee dell'Espressionismo europeo

- Radici: Vincent van Gogh, Paul Gaugain
- Precursori: James Ensor, Edvard Munch
- Espressionismo francese: Fauves: Henri Matisse, André Derain, Maurice de Vlaminck, Kees van Dongen. Ecole de Paris espressionista: Chaim Soutine, George Rouault
- Espressionismo tedesco: A Dresda e Berlino: Die Brücke: "Il ponte": Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schimdt-Rottluff, Otto Müller, Emil Nolde, Maw Pechstein e altri
A Monaco: Der Blaue Reiter, "Il cavaliere azzurro": Vasilij Kandisnskij, Franz Marc, August Macke, Alexej von Jawlenskij.
- Espressionismo austriaco: a Vienna: Oskar Kokoschka, Egon Schiele

I principi estetici dell'Espressionismo

Il critico che ha costruito la teoria più calzante a proposito dell'estetica professionista fu Wilhem Worringer, nel suo libro Astrazione ed Empatia, pubblicato nel 1908. 
I punti fondamentali che Worringer individua nell'arte espressionista sono: 
- Ritorno ai primitivi;
- Rivalutazione dell'arte gotica tedesca; 
- Valorizzazione dell'arte popolare folkloristica;
- Liberazione della forza del colore;
- Distorsione ed esagerazione dei tratti figurativi;
- Eliminazione dell'illusionismo prospettico;
- Rappresentazione della nattura in senso simbolico e panteistico, così da identificarla con il principio divino. 

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lunedì 20 novembre 2017

Le premesse del Novecento. Art Nouveau. Francia, Germania, Stati Uniti, Italia

Le premesse del Novecento

L'Art Nouveau

Francia


R.J. Lalique. Pendente. 1900


Hector Guimard. Ingresso di una stazione della Metropolitana. Parigi 1899-1904



In Francia l'Art Nouveau trovò notevoli esempi soprattutto nell'arte applicata, grazie agli esponenti della scuola di Nancy come Emile Gallé (Nancy 1846-1904), autore di vetri opalescenti e policromi che hanno iniziato una diffusissima produzione. 
Nel settore dell'oreficeria ricordiamo René-Jules Lalique (Ay 1860-1945), grande innovatore delle tecniche di produzione degli oggetti. 
Il risultato più noto furono le insegne per gli ingressi della metropolitana disegnati da Hector Guimard (Parigi 1867 - New York 1942), realizzati in ghisa per favorirne la resistenza e talvolta coperti da tettoia di vetro per proteggere i viaggiatori dalla pioggia. 

Germania

In Germania l'influsso dell'Art Nouveau fu relativamente modesto, mediato da Peter Behrens (Amburgo 1868-Berlino 1940), rappresentò un personaggio-ponte verso le esperienze espressioniste razionaliste. 

Stati Uniti


L. C. Tiffany. Vaso a forma di fiore. 1900


Negli Stati Uniti, lo stile Art Nouveau si espresse soprattutto nell'arte applicata e nella gioielleria, portata al massimo livello dai disegni di Louis Comfort Tiffany (New York 1848-1933). 

Italia


Giuseppe Sommaruga. Palazzo Castiglioni. Milano 1903

L'Art Nouveau in Italia arrivò con ritardo, perché il giovane stato unitario spingeva l'architettura verso un eclettismo revivalistico. 
Nell'ambito che si definì comunemente Liberty si mossero comunque alcune personalità di rilievo in differenti regioni. Tra queste ricordiamo Raimondo d'Aronco (1857-1932), che progettò il Palazzo delle Esposizioni a Torino, Ernesto Basile (1857-1932), autore di Villa Igea a Palermo (1899-1903) e Giuseppe Sommaruga (1867-1917), che realizzò Palazzo Castiglioni a Milano (1903). 

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