Se intendiamo per arte certe attività come la costruzione di templi e di case, e la creazione di pitture e sculture o la tessitura delle stoffe, non c'è al mondo popolo che non sia artista. Se d'altra parte, intendiamo per arte qualcosa di o e squisito di cui godere nei musei o nelle mostre o da impiegare in belle decorazioni nei salotti più raffinati, dobbiamo riconoscere che questa particolare accezione della parola è stata introdotta solo di recente, e che molti dei maggiori costruttori, pittori o scultori del passato non ne ebbero il più lontano sospetto. Come nell'architettura ad esempio, tutti sappiamo che esistono costruzioni bellissime, alcune delle quali sono vere e proprie opere d'arte. Ma non c'è pressoché alcun edificio al mondo che non sia stato eretto in vista di un scopo particolare. Coloro che si servono di questi edifici come luoghi di culto, di svago o di abitazione li giudicano soprattutto in base a criteri utilitari. Ma a parte ciò possono trovare più o meno di loro gusto la linea o le proporzioni dell'edificio, e apprezzare gli sforzi del bravo architetto che non solo l'ha saputo rendere pratico ma anche "esteticamente a posto". Sovente nel passato anche i dipinti e le sculture, non venivano considerati pure opere d'arte, bensì oggetti con una determinata funzione.
E' difficile però comprendere l'arte del passato se siamo del tutto ignari degli scopi cui doveva servire. Quanto più realizziamo il corso della storia, tanto più chiari, ma insieme strani, ci appaiono i fini che si pensava dovesse assolvere l'arte. Lo stesso avviene se, abbandonando le nostre città, ci mescoliamo ai contadini, o meglio ancora, se ci stacchiamo dai nostri paesi civilizzati e viaggiamo tra popoli le cui condizioni di vita sono ancora molto simili a quelle dei nostri remoti progenitori. Noi chiamiamo "primitivi" questi popoli perché essi sono più vicini allo stato dal quale l'umanità tutta è emersa. Dal punto di vista dell'utilità, per questi primitivi non c'è differenza tra la costruzione di una capanna e la produzione di un'immagine. Le capanne servono a proteggerli dalla pioggia, dal vento, dal sole e dagli spiriti che li generano; le immagini a difenderli contro altri poteri non meno reali, per loro, delle forze della natura. Pitture e sculture, in altre parole sono usate in funzione magica. In ogni parte del mondo ad esempio, guaritori o streghe hanno tentato di praticare la magia press'a poco così: fatto un rozzo fantoccio a somiglianza del nemico, nella speranza che il danno ricadesse su di lui, gli trapassavano il cuore e lo bruciavano. Anche il fantoccio che si brucia in Inghilterra nel giorno di Guy Fawkes (1570-1606 ordì la Congiura delle Polveri contro Giacomo I, fu scoperto e giustiziato. Ogni anno, il 5 Novembre gli anglicani commemorano l'evento bruciando l'effigie del congiurato, NDT) è una sopravvivenza di tale superstizione. I primitivi sono ancora più esitanti quando devono distinguere tra l'oggetto vero e la sua raffigurazione.
Sulla base di queste convinzioni possiamo comprendere le pitture più antiche che ci sono pervenute. Quando furano scoperte per la prima volta sulle pareti delle grotte in Spagna, e nella Francia meridionale,
nel XIX secolo, gli archeologi dapprima non volevano credere che raffigurazioni cosi vive e naturalistiche di animali potessero essere state disegnate da uomini dell'era glaciale. A poco a poco il ritrovamento in queste regioni di rozzi strumenti di pietra e di osso rese sempre più certo il fatto che queste figure di bisonte, mammut o cervo erano state veramente graffite o dipinte da chi cacciava questa selvaggina e per tanto la conosceva in maniera così particolareggiata. Poche di queste pitture sono disposte con chiarezza sul soffitto o sulle pareti della grotta. Al contrario, sono talvolta graffite o dipinte l'una sull'altra in apparenza senza alcun ordine. Questi cacciatori primitivi, pensavano che, una volta fissata l'immagine della preda - cosa che forse ottenevano servendosi delle lance e delle scuri di pietra - l'animale stesso sarebbe dovuto soccombere al loro potere.
Per i primitivi l'arte per lo più connessa a convinzioni sul potere magico delle immagini. Esistono ancora certe popolazioni che usano solo strumenti di pietra, e che, per scopi magici, incidono sulle rocce figure di animali. I membri delle tribù celebrano feste periodiche in cui, camuffati da animali, con bestiali movenze eseguono danze sacre. Anch'essi ritengono, cosi facendo, di acquistare in qualche modo potere sulla preda. I romani pensavano che Romolo e Remo fossero stati allattati da una lupa, di cui conservavano l'effigie di bronzo sul Campidoglio, e fino a non molto tempo fa tenevano una lupa in una gabbia presso la scalinata d'accesso al Campidoglio. In Trafalgare Square non ci sono leoni vivi, ma il leone britannico continua tenacemente a campeggiare nelle pagine del "Punch".
I membri di una tribù, quindi, considerano con profonda serietà i loro rapporti con il totem, come chiamano l'animale con cui si sentono legati. Essi sembrano talora vivere in una specie di mondo chimerico in cui si può essere allo stesso tempo uomini e animali. Molte tribù hanno maschere che rappresentano questi animali, e quando le usano, nel corso di speciali cerimonie, credono di sentirsi trasformati, di essere divenuti corvi od orsi. Per i primitivi quindi, non esiste un mondo capace di distruggere l'illusione, gacché ogni membro della tribù partecipa alle danze rituali in una fantastica gara di simulazioni. Tutti da generazioni e generazioni, hanno preso il significato di questi riti e ne sono cosi compenetrati da non avere ormai la minima probabilità di liberarsene di giungere a considerare con occhio critico il loro comportamento.
Può sembrare che tutte queste credenze abbiano ben poco a che fare con l'arte, ma, di fatto, esse le condizionano in vari modi. Il significato di molte opere d'arte sta nel sostenere una parte di queste bizzarre consuetudini, e quindi ciò che importa non è la bellezza della scultura o della pittura giudicata secondi i nostri criteri ma la sua "influenza", ossia la sua possibilità di avere il desiderato effetto magico. Inoltre gli artisti lavorano per la gente della loro tribù, che conosce esattamente il significato di ogni forma e di ogni colore e non chiede affatto novità, bensì solo di dedicarsi all'esecuzione dell'opera con tutta l'abilità e la competenza possibili. Alcuni esempi attuali sono: la bandiera nazionale, la fede nunziale, l'albero di Natale.
L'arte primitiva lascia agio all'artista di mostrare il suo estro. La maestria tecnica di certi artigiani tribali è davvero sorprendente. Non si deve mai dimenticare, parlando dell'arte primitiva, che l'oggettivo non vuole alludere a una conoscenza primitiva che gli artisti avrebbero del loro compito, tutt'altro: molte tribù antichissime hanno raggiunto un'abilità sbalorditiva nello scolpire, nell'intrecciare canestri, nel conciare il cuoio o nel lavorare metalli, ad esempio, i maori della Nuova Zelanda, per esempio, sono giunti a compiere autentici prodigi nelle loro sculture in legno.
Queste testimonianze di arte indigena non devono indire a credere che simili opere siano bizzarre solo perché gli artisti non hanno saputo fare di meglio. Non il loro livello artistico ma la loro mentalità differisce dalla nostra. E' importante rendersi conto di ciò fin dall'inizio perché l'intera storia dell'arte non è la storia del progressivo perfezionamento tecnico, bensì il mutamento dei criteri e delle esigenze. In certe condizioni, gli artisti tribali possono creare un'opera altrettanto esatta dal punto di vista naturalistico quanto i migliori lavori di un maestro dell'Occidente. Solo da poco si è scoperto in Nigeria un gruppo di teste di bronzo straordinariamente espressive. Sembra che risalgano a vari secoli fa, e non c'è motivo di credere lli artisti del luogo abbiano appreso questa loro tecnica da qualche straniero. Quale può essere allora la ragione del carattere estremamente bizzarro di tanta parte dell'arte tribale? Un semplice palo con questi pochi tratti essenziali diventa per lui una cosa nuova e diversa: l'impressione che il palo gli comunica viene interpretata come un segno del suo potere magico. Non è più necessario dargli una maggiore somiglianza con l'uomo.
momento che ha gli occhi per vedere, lo si può constatare nel feticcio de dio della guerra polinesiano chiamato Oro (XVIII sec. Thaiti). I polinesiani sono scultori eccellenti, ma, non reputavano indispensabile che la scultura riproducesse con esattezza il corpo umano, tutto ciò che noi vediamo è un pezzo di legno ricoperto di un tessuto di fibra. Solo gli occhi e le braccia sono rozzamente indicati da una treccia della stessa fibra, però basta averli osservati una sola volta perché da quel feticcio si sprigioni per noi un senso di misteriosa potenza.
Con l'andare del tempo, l'artista primitivo migliorando l'aspetto delle sue opere, cambiandone di volta in volta i tratti, apprese come poter creare le sue figure o i suoi visi senza ricorrere alle forme preferite, quelle più rispondenti alla sua particolare abilità. Il risultato poteva anche non somigliare granché ai volti reali, ma era improntato a un'unità e a un'armonia di tratto che, mancavano inizialmente.Una maschera della Nuova Guinea, può darsi che non sia una bellezza (e non voleva esserlo), era destinata ad una cerimonia durante la quale i giovani del villaggio la usavano fingendosi demoni per spaventare donne e bambini. Per quanto grottesco o spiacevole possa sembrarci questo "demone", c'è però qualcosa di convincente nel modo in cui l'artista ha costruito la sua faccia valendosi di forme geometriche.
In alcune parti del mondo, certi artisti primitivi hanno svolto elaborate tecniche per rappresentare in fogge ornamentali le varie figure e i vari totem dei loro miti. Tra i pellirosse del Nordamerica, vi sono artisti che a un acutissimo potere di osservazione della natura uniscono un completo disinteresse per quello che noi chiamiamo l'aspetto effettivo delle cose. Cacciatori, essi conoscono la forma esatta del rostro dell'aquila o delle orecchie del castoro assai meglio di noi. Ma basta loro uno solo di tali tratti caratteristici, una maschera munita di un rostro d'aquila è un'aquila. Un modello di abitazione di un capo pellerossa della tribù Haida del nord-ovest, recante sulla facciata tre cosiddetti totem ricavati da un palo. Noi non riusciamo a scorgere che un accavallarsi di orribili maschere, ma l'indigeno ci vede illustrata un'antica leggenda della tribù.
Senza spiegazione, forse, non riusciremo a scoprire il significato di queste sculture create con tanto amore e con tanta fatica, tuttavia possiamo apprezzare l'armonia con cui le forme naturali vengono coerentemente trasformate.Tutto ciò che resta delle grandi civiltà dell'antica America è la loro "arte".
Senza dubbio questi popoli non erano primitivi nel senso comune della parola. Quando nel XVI secolo arrivarono i conquistatori spagnoli e portoghesi, gli aztechi del Messico; come i Neri della Nigeria, gli abitanti dell'America precolombiana erano capacissimi di rappresentare un viso umano in modo quanto mai somigliante. Agli antichi peruviani piaceva dare al vasellame la foggia di teste umane: ed erano teste straordinariamente fedeli al vero.
La ragione dell'innaturalità di queste opere, sta nei significati che essi avevano il compito di esprimere. La fig. 30 rappresenta una statua messicana che si crede risalga al periodo azteco, l'ultimo prima della conquista. Gli sutdiosi pensano che si tratti del dio della pioggia, il cui nome era Tlaloc.
In queste zone tropicali la pioggia era sovente questione di vita o di morte, perché, senza pioggia, il raccolto può inaridirsi riducendo la popolazione alla fame. Nessuna meraviglia quindi che il dio della pioggia e delle tempeste assuma nella mente degli indigeni l'aspetto di un demone di spaventosa potenza. Il lampo nel cielo appare alla loro immaginazione simile a un enorme serpente, e per questo molti popoli americani considerano il serpente a sonagli creatura sacra e potente. La sua bocca è formata dalle teste di due serpenti a sonagli che si fronteggiano con i grandi denti velenosi sporgenti fuori dalle fauci, e che anche il naso sembra formato da corpi attorcigliati dei rettili. Forse anche i suoi occhi possono essere visti come serpenti acciambellati. Possiamo constatare come voler "costruire" una faccia fuori dai soliti schemi possa portare lontano dalla nostra concezione di una scultura naturalistica. E cogliamo cosi anche un barlume delle ragioni che possono talvolta aver condotto a questo metodo. All'immagine del dio della pioggia certo si addicevano i corpi dei serpenti sacri che incarnavano il potere della folgore. In queste civiltà primitive la creazione artistica non era soltanto connessa alla magia e alla religione ma costituisce altresì la prima forma di scrittura. Nell'arte dell'antico Messico il rettile sacro non era solo la riproduzione di un serpente a sonagli ma poteva anche trasformarsi in un segno indicante il lampo, e cosi un vero e proprio carattere tramite il quale si potesse alludere alla tempesta o magari scongiurarla.
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